È difficile dare un giudizio su un pilastro della storia del teatro.
Arlecchino servitore di due padroni nella sua versione strehleriana è andato in scena per la prima volta nel Piccolo Teatro il 24 luglio del 1947 e ogni anno torna in scena per essere visto e applaudito da nuove generazioni.
Dal 1959 l’Arlecchino è interpretato da Ferruccio Soleri, attore fiorentino che nel 2010 è stato insignito del Guinness World Record per «la più lunga performance teatrale nello stesso ruolo».
Dal debutto per Solieri si sono succedute quasi 3mila recite, alle quali hanno assistito oltre due milioni di spettatori e lo spettacolo ha girato tutto il mondo. Insomma, dopo tutta questa fatica, l’attore indossa ancora la sua maschera furbastra e malinconica senza lasciar trasparire la fatica che accompagna la rappresentazione.
In tanti anni mai un cedimento o un’imperfezione, la sua fisicità si fonde con il personaggio. Sarà merito della preparazione fisica e di tanti piani di scale che dice di fare per tenersi in forma, oppure perché il personaggio che interpreta se lo sente dentro, oltre che addosso.
A contribuire alla resistenza della maschera di Arlecchino contribuisce soprattutto il testo di Carlo Goldoni, di una attualità quasi sconcertante.
Nei quadri che compongono i tre atti, le situazioni risultano comiche e paradossali al tempo stesso.
Il ritmo accelerato dell’azione è contornato dai salti e dalle acrobazie degli attori, impegnati a non perdere neppure un istante. L’affiatatissimo cast completa un quadro che ha del perfetto.
Lo spettacolo dura tre ore che sulla carta potrebbero sembrare infinite invece passano in un soffio. È impossibile annoiarsi e non seguire quel che succede sul palco, tra bagatelle e scaramucce.
Insomma, la conclusione è una sola: fare teatro allunga la vita.