ARLECCHINO&ARLECCHINO

Arlecchino&Arlecchino

Arlecchino&Arlecchino

Certe volte avvengono delle magie sul palco di un teatro, scocca la scintilla e nasce improvvisamente qualcosa di bello, in grado di coinvolgere il pubblico in sala, spesso relegato al ruolo di spettatore passivo sulla propria poltrona.

Questa sorta di ‘epifania’ si è avuta con la prima di “Arlecchino&Arlecchino”, in programma al Teatro dell’Arte, col mattatore Paolo Rossi e, tra gli altri, due Arlecchini “storici”, Ferruccio Soleri e Enrico Bonavera, che con la propria sensibilità hanno dato una diversa lettura della celebre maschera bergamasca. Dopo un’apertura molto gradevole con il teatro dei burattini che, nella semplicità data dall’essenzialità dello strumento, vede protagonista un Arlecchino “malato d’amore”, in pieno stile goldoniano, è la volta degli altri interpreti che, con modi, parole e approcci diversi, intrattengono la platea, raccontandosi e raccontando il proprio rapporto con questo personaggio. Interpreti incalzati dal vulcanico Rossi, nelle vesti di insolito intervistatore prima e di stravagante e istrionico Arlecchino dopo, a cominciare dalla scelta del look: dell’originale costume a quadri, non ne è rimasto che un panciotto colorato - forse l’unica, timida apparizione della serata - appena percettibile sotto la giacca.

Tra un monologo e l’altro, irruzioni tra il pubblico e cambi di luce sapientemente dosati, gli intermezzi di Rossi sono tali da spezzare, con il consueto modo di fare ironico e surreale, una rappresentazione volutamente priva sin dall’inizio di un copione. Al contempo, il ritmo diverso e piacevole, una sorta di lento e crescente divenire ha avuto il suo culmine nello sketch finale, affidato alla feroce arte dissacratoria di Rossi, accompagnato dai due musicisti-spalla, capaci di tener testa all’irriverente Arlecchino giunto dagli inferi. Dall’impresa, perfettamente riuscita, emerge la natura sfaccettata di un personaggio tuttora molto amato dal pubblico, capace di riflettere con estrema fedeltà alcuni dei difetti e dei vizi propri dell’essere umano. Non manca una nota canzonatoria, indispensabile per sorridere con una certa indulgenza di noi stessi e delle nostre debolezze.

La kermesse mantiene la promessa iniziale di dar vita ad un esperimento teatrale inedito, divertendo molto gli spettatori.  I vari Arlecchini si imbattono gli uni negli altri, confrontandosi e ‘scontrandosi’ nelle reciproche diversità; dal loro incontro però possono nascere dialoghi sagaci ma imprevedibili, perché, come vuole la tradizione del canovaccio, la parola d’ordine è pur sempre ‘improvvisazione’.

Visto il 04-03-2014
al Triennale di Milano (MI)