Lirica
ARMIDA

Armida graffitara

Armida graffitara

Il Festival della Valle d’Itria è sempre attento al recupero degli innumerevoli capolavori della scuola partenopeo – pugliese che caratterizzò la musica del sud Italia nel XVIII secolo, influenzando anche le varie corti europee. È il caso, quest’anno, di Tommaso Traetta e della sua “Armida”.  Traetta, pugliese di Bitonto, è uno dei maggiori operisti italiani del Settecento nel genere serio. Studiò con  Porpora e Durante a Napoli e qui esordì come operista con “Farnace” nel 1751. Chiamato come maestro di cappella alla corte di Parma (1758-65), si impegnò per riformare l'opera italiana sulla base della tragédie lyrique francese. Per volontà del conte Durazzo, direttore degli spettacoli di corte a Vienna, nel 1761 rappresentò l'Armida in un momento in cui stava maturando la riforma operistica di Gluck. Nel 1765 assunse la direzione del conservatorio dell'Ospedaletto a Venezia, dal 1768 al 1775 fu alla corte di Caterina II a Pietroburgo; poi, per breve tempo, insegnò a Napoli al conservatorio della Pietà dei Turchini; infine, dopo un breve soggiorno a Londra, ritornò a Venezia dove morì nel 1779.

Armida è una "festa teatrale" in cui le componenti tipicamente celebrative - cori e balli - hanno una significativa incidenza e lo sfarzo immaginifico, la suggestione e l’emozione – nella volontà dell’autore – la fanno da padroni, più che il  reale spessore drammaturgico della vicenda di Rinaldo e Armida. La regia di Juliette Deschamps non ha colto pienamente quest’aspetto suggestivo/fantasioso ambientando la vicenda in un uno stilizzato palazzo fatto solo di scale fisse e senza nessun colore, realizzate da Nelson Willmotte, in una sorta di periodo atemporale che spazia dall’epoca del graffitismo contemporaneo a episodi di film fantascientifici, a certe atmosfere decadenti e futuriste di ispirazione fumettistica e da videogioco. I personaggi, poco caratterizzati e quasi impacciati, hanno affrontato quel poco che la regia ha imposto loro con spigliatezza e tensione; anche il coro, seppur nei brevi interventi, dava l’idea di essere fuori posto. Tra le poche cose interessanti le croci che Rinaldo e i suoi due compagni dipingono sulle nude pareti nel significare il loro essere cristiani. Nemmeno l’intervento dell’ottima compagnia di danza Fattoria Vittadini è riuscito a dare all’allestimento verve e dinamicità. Il risultato finale è stato piuttosto piatto e deludente. Anche i costumi di Vanessa Sannino, un misto tra manga giapponesi e il Signore degli Anelli, non hanno contribuito.

Alla guida dell’Orchestra Internazionale d’Italia il maestro Diego Fasolis, esperto di musica del periodo barocco, ha dato buona prova risaltando le sfumature e i colori della partitura. Una certa pesantezza però generale è stata, forse, dovuta alle cattive condizioni climatiche.

Nel ruolo del titolo la brava Roberta Mameli ha evidenziato una voce ricca di sfumature, luminosa e piena con controllo sugli acuti anche se, in alcuni casi è risultata un po’ dura, calandosi nel personaggio con forte temperamento. Nei panni di Rinaldo l’eccellente Marina Comparato, vera protagonista della serata: voce bella, luminosa, di bel timbro e uniforme nei vari registri, gestita con grande sapienza; spigliata e vigorosa, ha incantato il pubblico grazie all’attenzione alla dizione. La Fenicia di Federica Carnevale possiede una vocalità calda, brunita e omogenea, una coloritura fluida  oltre che a valide doti interpretative. Maria Meerovich in Artemidoro possiede una voce molto piccola anche se intensa ed espressiva che non sempre convince. Il tenore Leonardo Cortellazzi, pur possedendo voce buona e raffinata, tecnica e ottima proiezione, non sembra adatto per il ruolo di Idraote. Talentuosa Leslie Visco in Argene; bel timbro e discreta prova per Mert Süngü in Ubaldo. Valida l’interpretazione del Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca.

Visto il
al Verdi di Martina Franca (TA)