Desolante. “Aspettando Godot” è una piéce che porta con sé la tragicità della condizione umana. Uno spettacolo senza soluzioni, nonostante i numerosi problemi messi sul piatto. Beckett affronta in questo suo primo testo il tema che poi sarà al centro, in misure differenti, in ogni sua opera teatrale successiva: il vuoto. Vuoto di parole, vuoto di situazioni, vuoto di intenzioni.
Vladimiro ed Estragone sono due uomini, un po’ miserabili un po’ giullari, che attendono. Nel bel mezzo di un paesaggio ignoto, spoglio, isolato, sospeso, la loro funzione è quella di far passare il tempo nell’attesa di un incontro con il Sig. Godot. Qualcuno che non conoscono, che è stato evidentemente vago sul luogo, le modalità e i tempi del loro incontro. E in questa attesa si consuma il loro tempo, un giorno dietro l’altro. Noi vediamo due giorni, all’interno di questa immensità senza confini che non ha inizio e probabilmente non avrà nemmeno fine.
Vivian Mercier scrisse all'indomani della prima londinese del 1955: "Aspettando Godot è una commedia in cui non accade nulla, per due volte". La sensazione predominante è esattamente che non accada niente, niente degno di nota, e in generale niente di niente: Nella messa in scena di Lorenzo Loris il nulla viene sottolineato dalla scenografia. Una pedana circolare, in un universo chiaro, come insabbiato, desertico, con un unico isolato bidone da cui spuntano timidi rami, “un albero”. Solo un rapido e folle incontro scuote la giornata dei due: appaiono, provenienti da chissà dove e diretti chissà dove, Pozzo – arrogante proprietario terriero (ma proprietario poi di cosa? Di un terreno arido e senza attrattive?) – che si trascina dietro al collare il suo servitore Lucky – non uomo, piuttosto un cane obbediente, che finisce folle appena gli viene permesso di pensare. Quando i due ripartono, arriva un ragazzo ad avvisare Vladimiro ed Estragone che Godot non arriverà, ma li prega di aspettarlo il giorno successivo. Godot verrà, solo non oggi. L’atto si chiude con i protagonisti che si decidono per andarsene, ma rimangono immobili. Non è successo nulla. Il secondo atto è una ripresa del primo, con la differenza che al loro passaggio, Pozzo e Lucky sono diventati rispettivamente cieco e muto. Ancora una volta, all’annuncio che Godot non verrà quel giorno, ma l’indomani, i due decidono di partire, ma restano cristallizzati. Ancora una volta, non è successo niente.
Il testo di “Aspettando Godot” ha rivoluzionato il linguaggio del teatro. Il modo di dire le cose, la struttura narravita. Beckett utilizza nei suoi testi numerosissime didascalie, che descrivono con precisione i movimenti stessi degli attori. Un lavoro di regia è per questo motivo particolarmente complesso e sottile con i testi di questo autore. Loris crea una scena neutra, con una grande piattaforma rialzata circolare al centro. Questo, di per sé, funziona bene e risultano eccessive e superflue le proiezioni ripetitive e ossessionanti delle immagini di un cantiere che scorrono sullo sfondo. Ad ogni modo la forma scelta dichiara l’intenzione. Tutto si muove circolarmente: movimenti, pensieri, emozioni, situazioni si susseguono senza reali cambiamenti lungo un percorso che non si discosterà mai da se stesso. Siamo ad un livello essenziale, superiore: si parla dell’Uomo. In modo astratto per quanto semplice. Si va avanti, si fa passare il tempo, perché è probabile che – per quanto ci si speri e si abbia fiducia – Godot (diventa sottile il gioco di parole tra God e il diminutivo francesizzante –ot… “Diuccio”) non arriverà. Non oggi, ma sicuramente domani.
Visto il
07-01-2010
al
Out Off
di Milano
(MI)