Per tutti coloro che amano la perfezione formale.
E’ l’anno 1170. Gli accadimenti di cui si narra avvengono dopo una lunga e sofferta assenza di sette anni: torna, nella città di Canterbury,l’arcivescovo Thomas Beckett: diverse le reazioni del popolo e del clero rispetto all’imminente evento.
Un coro di donne e bambini - il popolo - profetizzano i segni dello spirito di morte e del futuro quanto inevitabile martirio a cui andrà incontro il protagonista. Mentre entusiasta e animata si palesa la speranza del clero, di una nuova rinascita della comunità di Canterbury.
Fra le spire del potere teologico si consuma, macera e lotta l’anima dell’uomo di chiesa, combattuto di fronte alle tentazioni terrene e all’anelito supremo al martirio. Carriglio interpreta - attraverso i versi del dramma di Eliot- l’eterna lotta fra potere temporale e spirituale che accese l’Europa del XII secolo, il tutto interpretato in chiave cristologica”: un martire profondamente turbato dalle scelte da compiere su un piano etico/spirituale ed allo stesso tempo tentato dall’autorità derivante dalla legge degli uomini.
Allestimento sviluppato su un duplice livello di lettura: s’interpreta come noir o come dramma spirituale. Il ritmo procede solenne, scandito sui toni aulici di una liturgia e arricchito da un apparato scenografico essenziale, quanto prezioso: un vasto portale in pietra puro e luminoso contro cui si stagliano, piccole e impotenti, le figure del popolo, del clero, dei soldati, dei carnefici, dei dignitari del monarca, sino a Beckett stesso.
Alla vista degli spettatori, le figure sul palco appaiono come le immagini di un codice miniato, che lentamente prende vita e svela la sua trama; tuttavia il fascino di un’immagine così pura ed elevata non riesce a smorzare del tutto una sensazione di freddezza ed estraniamento, suscitata da un tale eccesso di auto-compiaciuta perfezione a discapito dei contenuti.
Visto il
al
Verdi
di Padova
(PD)