Lirica
ATTILA

ATTILA, UN IDEALISTA?

ATTILA, UN IDEALISTA?

Ci piace che, per il secondo anno consecutivo, l'Opera di Roma dedichi spazio al Verdi ritenuto da alcuni “minore”: l'anno scorso il rarissimo La battaglia di Legnano, quest'anno il non frequente Attila. Un Attila ora in scena al Costanzi ma che raddoppia, con qualche riadattamento, a Caracalla dal 31 luglio al 7 agosto. Occasione assolutamente da non perdere per rendersi conto di quanto questa partitura non sia assolutamente minore nella splendida esecuzione di Riccardo Muti e di un'orchestra in stato di grazia.

Lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi è molto diverso dai suoi Attila precedenti, anche nelle premesse. Il regista, scenografo e costumista presenta Attila come un idealista, leale, onesto, coraggioso, molto diverso dall'arrivista Ezio, pronto a qualsiasi compromesso e bassezza, dalla traditrice Odabella, determinata al massimo contro l'invasore per vendicare il padre, e dall'ingrato Foresto.
La scena è dominata da un grande arco di mattoni con il soffitto a cassettoni, un ambiente che ricorda la basilica di Massenzio o altre strutture di epoca romana. Un arco di trionfo che si abbassa per rendere la claustrofobia della cripta oppure che si chiude sul fondo con un muro di mattoni per creare un interno. Nei momenti in cui è necessaria intimità, una parete di mattoni divisa a metà da un taglio orizzontale asimmetrico chiude il boccascena. Un podio raccorda la scena al palco con pochi gradini di marmo bianco venato di grigio scuro.
I bei costumi non hanno una datazione precisa e si declinano in colori primari: bianco, grigio, nero, rosso, insieme al viola che connota inequivocabilmente il segno di Pizzi, in questo caso riservato alle ballerine, le cui ampie e lunghe gonne sono riprese dietro e sollevate, attaccate al capo.
L'idea registica si concentra sui personaggi con pochi, efficaci gesti: Attila spegne i roghi che i barbari hanno appiccato alle pergamene nelle biblioteche, Odabella ha sempre in mano una spada come una Dike furiosa dopo che Attila le ha tolto la camicia di forza (a lei e alle altre vergini aquileiane), Foresto ha un contegno che denota sensibilità e che stacca con il contrario contegno di Ezio, sempre in armatura da guerra come un novello Marte. Per il resto domina la scena un'immobilità iconica.
Nella scena sesta dell'atto secondo la coreografia di Roberto Maria Pizzuto è giocata su incroci e scambi di posto, utilizzando la breve scalinata.
Essenziali le luci di Vincenzo Raponi sia negli interni che nel fondo scena.

Riccardo Muti esalta gli slanci romantici e i respiri di una musica di cui svela inedite, affascinanti sfumature in una lettura che conquista sul piano filologico e su quello emozionale. Il direttore mostra una maturità che porta a un risultato difficilmente ripetibile, creando l'unità della partitura attraverso un contrasto cromatico che svela ed evidenzia ogni dettaglio in un modo che non si era mai sentito prima. I tempi e le dinamiche dei suoni sono mutevoli, ampi oppure rapinosi, sempre calibrati e curatissimi e in grado di infiammare gli spettatori come quei roghi nel prologo. Il Maestro coglie così i riferimenti per molte delle opere successive e consacra Attila come una partitura “maggiore”. Ottimo il sostegno ai cantanti e il raccordo tra buca e palco.

Ildar Abdrazakov è un Attila di notevole fascino, la cui voce profonda e brunita è efficace nel suggerire un uomo di grande interiorità non stereotipato sul feroce conquistatore; il basso emoziona con le discese nel grave e con gli acuti di una tessitura assai insidiosa, riuscendo a rendere con intense sfumature tutti i dettagli del ruolo; sicuramente essenziale nell'economia dello spettacolo, la prestazione di Abdrazakov convince pienamente in ogni senso e tutti, anche quelli che mantengono perplessità sull'idealismo e la leale onestà di Attila.
Tatiana Serjan presta la sua voce unica a Odabella, di cui restituisce il furore vendicativo che non si stempera neppure nel sentimento amoroso; la partitura è ardua ma il soprano non fa nessuna fatica a salire e tenere l'acuto come anche a dare pienezza a un grave venato di suggestivi colori, passando per un medio efficacissimo; incantevoli le mezzevoci e le smorzature nell'inizio del primo atto, intenso il duetto con Foresto, giuste sempre le colorature.
Giuseppe Gipali è un Foresto squillante e saldo, la voce non è grande ma controllatissima e usata in modo da rendere al meglio la sentimentalità. Meno ha convinto l'Ezio di Nicola Alaimo per le oscillazioni e una certa velatura a discapito dell'espressività, migliorato però nel corso dell'opera anche grazie all'appoggio del direttore che lo ha portato a un buon “Dagli immortali vertici”. Bravi, nei ruoli di contorno, Antonello Ceron (un servile Uldino) e Luca Dall'Amico (Leone, bianco e traslucido come un'apparizione di alabastro). Il coro è stato ben preparato da Roberto Gabbiani: peccato che nel finale è all'interno e il celebre “appien sono vendicati Dio, popoli e re” non si sente.

Teatro gremito, applausi entusiastici a sipario aperto: un trionfo.
Il manifesto per la comunicazione è stato realizzato da Mimmo Paladino: il lavoro di studio e di ricerca lo ha portato alla realizzazione dei nove olii pubblicati nel programma di sala e una xilografia acquistabile nel nuovo bookshop all'interno del teatro. Sempre nello splendido programma di sala Stefania Pasti parte da due codici medioevali, uno ungherese e uno italiano, per un excursus storico e geografico; quindi gli interventi di Antonio Paolucci, Claudio Strinati, Pietro Zander e Arnold Nesselrath contestualizzano la figura del condottiero nelle arti a Roma, mentre Caterina Botti racconta di Verdi e della prima romana di Attila al teatro Apollo di Tordinona, della cui decorazione interna in quegli anni si occupava il settempedano Filippo Bigioli, a cui la città di San Severino Marche dedica una mostra curata da Vittorio Sgarbi che si inaugurerà il 20 luglio 2012 nel palazzo Municipale in contemporanea con la personale di Vera Santarelli nel vicino palazzo Manuzzini.

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