Lirica
ATTILA

I teatri vittime della barbarie

I teatri vittime della barbarie

Attila, unico titolo verdiano e risorgimentale in cartellone alla Scala nell'anno delle celebrazioni per il 150° dell'unità d'Italia, va in scena in teatro traboccante di stranieri come non mai. Titolo rarissimo al Piermarini, leggendo nel programma di sala che in questi centocinquant'anni sono solo tre gli allestimenti (1867, 1975, 1991).

Gabriele Lavia propone una chiave di lettura storico-sociale, che diventa anche politica: i barbari sono distruttori e nel contemporaneo la distruzione che maggiormente trasforma la società è quella culturale, soprattutto in un paese come l'Italia. Non è un discorso legato necessariamente all'oggi quello che fa Lavia: il suo è un punto di vista valevole per ogni epoca, sempre, legato a un criterio meta-temporale più che a-temporale, attraverso il tempo più che oltre il tempo.

Le bellissime scenografie di Alessandro Camera presentano nei tre atti i luoghi simbolo dello spettacolo (ed emblematicamente della cultura) occidentale: un teatro greco-romano, un teatro all'italiana, un cinematografo. Ma tutti distrutti, in rovina. Il primo è un cumulo di macerie dove a stento si riconosce una gradinata di pietre squadrate su cui sono crollati i rocchi di una colonna scanalata; sullo sfondo corpi infilzati a lunghe aste che emergono dal basso. Il secondo è un teatro ottocentesco coi palchi bombardati, il giro degli ordini interrotto da squarci e la platea, svuotata, ha cumuli di sedie rosse accatastate e una catapulta. Del terzo sono rimasti un telo mal tirato e alcune poltrone verdi disallineate: viene proiettato un film muto di ambientazione romana, immagini alternate a momenti con vuoti di fotogrammi (da un taglio nel telo entrano in scena i protagonisti, come fossero incarnazioni dei personaggi del film).
L'idea dello spettacolo teatrale accompagna tutta la rappresentazione con due grandi maschere di commedia e tragedia appoggiate a terra in proscenio. I momenti in cui la vicenda ha luogo in ambienti raccolti sono ricreati con sipari drappeggiati: verde per Attila retto da teschi di animali e lance incrociate, rosso per Ezio retto dall'aquila imperiale e fasci con scuri innestate. Quelle che nel prologo paiono nuvole vorticanti velocissime sono invero onde di un mare in tempesta proiettate al negativo.

I costumi di Andrea Viotti specificano l'idea di essere non in un'epoca precisa ma in varie epoche contemporaneamente, dagli anni Venti del Novecento (la festa di Attila) all'oggi (le moderne sacerdotesse-vergini di Aquileia), dal passato (i cappottoni dei romani e le pellicce dei barbari) al presente (il popolo). I colori identificano immediatamente una appartenenza: grigio e argento per i barbari, rosso e oro per i romani, marrone per il popolo.
Le luci dello stesso Lavia e di Marco Filibeck completano l'effetto, iscurendo i momenti con Attila, notturni e cupi, forieri di rovina, e tingendo di arancio caldo quelli in cui si profila una possibile redenzione.

Nicola Luisotti dirige con sicurezza la partitura, rendendo un suono potente più che impetuoso e provando a mantenere le componenti liriche ed epiche; i tempi sono veloci, a discapito delle ondate melodiche tipicamente verdiane. Con pari forza lo seguono orchestra e coro, quest'ultimo preparato da Bruno Casoni come il coro di voci bianche dell'Accademia del teatro.

Orlin Anastassov affida la forza di Attila a lunghi capelli con treccia colorata che gli ricade continuamente sul viso, torace nudo e cappottone dark; vocalmente è meno dominante negli acuti e nei gravi (la parte è ardua, impone colori molto scuri e una tessitura assai alta). Leo Nucci sostituisce l'indisposto Marco Vratogna e la voce fatica a rendere la linea vocale di Ezio, nonostante il lungo mestiere del baritono. Elena Pankratova è Odabella, non a suo agio nei passaggi di registro e con agilità rese in modo semplificato, portando gli acuti al limite delle possibilità. Il migliore della serata è parso Fabio Sartori, nonostante un'annunciata indisposizione che vela un poco la voce: il tenore sa però trasmettere il senso di quello che canta con buona resa dell'emotività di Foresto. Bene Gianluca Floris (Uldino) ed Ernesto Panariello (Leone).

Teatro praticamente esaurito, vivo successo di pubblico e qualche isolata contestazione per la Pankratova e Luisotti. Il programma di sala è il primo dell'era Pisapia come presidente del consiglio di amministrazione della Scala.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)