La concertazione di Riccardo Chailly è elegante e raffinata, ricca di chiaroscuri ed attenta a porre in risalto ogni singolo accento della partitura. In direzione della spettacolarità la regia di Davide Livermore.
Da sempre considerato titolo minore, Attila riveste invece una notevole importanza all’interno della produzione di Giuseppe Verdi. In quest’opera infatti, oltre ad affinare il percorso di approfondimento psicologico dei suoi personaggi, che avrà una tappa fondamentale nel successivo Macbeth, Verdi, influenzato dallo stile grandoperistico francese, inizia a porre l’attenzione sulla componente spettacolare dei suoi lavori, in particolar modo gli effetti scenografici e le ampie scene di massa, aspetto fino ad allora marginale nella sua concezione drammaturgica.
Regia dinamica e spettacolare
Ed è proprio in direzione della spettacolarità che si muove la regia di Davide Livermore, che, con il suo team costituito da Giò Forma (scene), Gianluca Falaschi (costumi), Antonio Castro (luci) e D-wok (video), realizza per questa inaugurazione scaligera un Attila cinematografico e di grande impatto visivo, rendendo più dinamica un’opera che drammaturgicamente risente ancora di una certa staticità di stampo belcantistico. La vicenda di epoca romana viene trasposta alla fine della seconda guerra mondiale: gli Unni invasori si muovono tra le rovine di un’Italia bombardata, il cui cielo è sempre grigio e nuvoloso.
Ai brandelli di imponenti strutture industriali si alternano rovine romane, a simboleggiare un glorioso passato. Tra le tante e mutevoli scene, due spiccano sulle altre: l’incontro con Papa Leone, raffigurato come un tableau vivant dell’affresco di Raffaello nelle stanze vaticane e la scena del banchetto che ricorda le atmosfere decadenti della Caduta degli dei di Luchino Visconti.
Concertazione raffinata e ottime voci
La concertazione di Riccardo Chailly è elegante e raffinata, ricca di chiaroscuri ed attenta a porre in risalto ogni singolo accento, ogni sfumatura della partitura. In qualche occasione questa impostazione va a discapito della veemenza e dell’impeto del Verdi giovanile, ancora testimone degli ardori risorgimentali, tuttavia la direzione è molto fluida e le pagine orchestrali, quali il preludio e l’alba su Rio alto, si stagliano per varietà di colori e profondità di accenti, come splendidi suonano i concertati finali dei singoli atti.L’Attila di Verdi è una figura complessa: da una parte barbaro stupratore dei vinti, dall’altra unico carattere integro tra gli ambigui italiani che lo circondano. Ildar Abdrazakov è un Attila autorevole, dal timbro morbido, e dal fraseggio sfumatissimo, che gli permette di scavare nella psicologia del personaggio e coglierne le molteplici sfaccettature. Tra le varie pagine spiccano sicuramente il sogno e l’incontro con il Papa, entrambe supportate da un’orchestra magnifica.
Ezio, il suo alter-ego di stirpe romana, è interpretato dal baritono rumeno George Petean, la cui interpretazione cresce in corso d’opera, ottenendo un successo personale nell’aria Dagl’immortali culmini. Saioa Hernández è un’Odabella spavalda dotata di voce solida e disinvolta nell’acuto. Anche i passaggi più lirici vengono ottimamente risolti grazie ad una notevole cura del fraseggio. Fabio Sartori è un Foresto dal timbro lirico che ben si disimpegna nelle sue arie, compresa Oh dolore! Ed io vivea, scritta alcuni anni dopo da Verdi per Napoleone Moriani e recuperata da Chailly in questa edizione. Ottime le prove di Francesco Pittari (Uldino) e Gianluca Buratto (Leone).
Come sempre eccellente la prova del Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni. Al termine applausi calorosi da parte di un teatro praticamente esaurito.