Prosa
ATTORE, IL TUO NOME NON è ESATTO

L'arte di Castellucci abita Palazzo Serbelloni

L'arte di Castellucci abita Palazzo Serbelloni

Uno specchio di fronte all'attore, per favore.

Sul pavimento di uno sfarzoso salone infiammato di rosso c'è un vecchio mangiadischi, una bomboletta di panna spray e un cubo di polistirolo bianco. Pochi elementi per “Attore, il tuo nome non è esatto”, performance esito del laboratorio condotto nel 2010 e 2011 da Romeo Castellucci alla Biennale di Venezia.

Come in un rituale, uno alla volta, entrano ed escono gli attori: una carrellata di posseduti le cui voci immortalate durante esorcismi vengono riprodotte dal registratore vecchio stile.

Otto persone pronte a perdere loro stesse facendosi abitare il corpo, la bocca, gli orifizi più intimi da entità altre, appartenenti ad un diverso tempo. Se gli esiti sono differenti lo schema è il medesimo: panna in bocca e inquietante ammiccamento finale verso il pubblico. Quel sorriso è la trappola in cui inciampa l'attore che vuole piacere per compiacere se stesso.
Una trance attoriale che riempie, scuote, spoglia. Un corpo, quello dell'attore, che non agisce ma che si lascia agire.  Egli è il medium, colui che assume su di sé la maschera del dover fingere, la maledizione del dover fingere, essere altro da sé. Una volta smorzati gli ultimi rigurgiti di ossessione attoriale sulla scena resta solo un corpo svuotato, un bozzolo di carne inerme.
Mary Goold e Jack Sutton, sono solo due dei nomi che scorrono proiettati sullo schermo in fondo alla sala  mentre alla fine un enigmatico  “possessed” nel 1948 parla di  soldati americani e appare la dissertazione di Artaud, morto in quello stesso anno, “Per farla finita col giudizio di Dio”.

La mente corre all'etimologia della parola “attore”  (dal latino “agere” agire), alle riflessioni di Carmelo Bene, ai sentieri infuocati aperti da Artaud. E a molte scelte della stessa Socìetas Raffaello Sanzio dove sulla scena spesso compaiono “non attori” selezionati per le loro caratteristiche fisiche. Attori, cioè, che prima di recitare “sono”. Talvolta persino attori animali: presenze aliene che alla lunga si riverberano inevitabilmente sull'idea stessa di teatro.

Una performance che è uno specchio oscuro collocato davanti all'attore ma anche allo spettatore. Non si è esenti da questa creazione, non ci si può tirare indietro da un viaggio verso una dimensione sconosciuta.  Abbiamo assistito ad una caduta, ma non c'è da allarmarsi, è ciò che accade attorno e dentro ognuno. L'arte di Romeo Castellucci, come quella di tutti i grandi artisti, rapisce senza fornire la chiave di uscita.

Visto il 23-03-2014
al Palazzo Serbelloni di Milano (MI)