Diverse sono state le reazioni di un pubblico sicuramente abituato alla sperimentazione e sicuramente già preparato ad accogliere Augusto, lo spettacolo di Sciarroni in scena al Teatro Argentina di Roma.
Vi siete mai chiesti perché si ride senza un motivo? Avete mai indagato la bellezza di una risata spontanea come quella di un bambino? E avete mai pensato che quella stessa bellezza possa mascherare anche un’angoscia, un dolore? A questi quesiti ha cercato di dare una risposta Alessandro Sciarroni, Leone d’oro alla Biennale Danza 2019. Lo ha fatto con le risate, con naturalezza, in maniera semplice ma anche provocatoria perché spesso la felicità, vera o apparente che sia, può contagiare ma anche infastidire.
Diverse ma inequivocabili sono state, infatti, le reazioni di un pubblico sicuramente abituato alla sperimentazione e alla ricerca contemporanea delle performing arts e, quindi, sicuramente già preparato ad accogliere Augusto, lo spettacolo di Sciarroni inserito nel programma di Grandi Pianure, rassegna di danza contemporanea curata da Michele Di Stefano, in collaborazione con Short Theatre.
Sciarroni e la sua cifra tra voce e movimento
L’operazione coreografica si mostra subito basata sul connubio tra pratica fisica e vocale. Nove interpreti seduti in proscenio, spalle al pubblico, si alzano ciascuno con il proprio tempo e cominciano a camminare in cerchio nel silenzio. Fin qui nulla di strano. Sembra uno dei tanti inizi dei tanti spettacoli di danza contemporanea che si vedono sulle nostre scene, basati su semplici azioni fisiche quotidiane. Almeno fino a quando non arriva lei: la risata. Prima timida e riservata poi sempre più libera e fragorosa. I performer vestiti di jeans si muovono in cerchio, punti consecutivi di un’ordinaria circonferenza. Pian pian ciascuno di loro prende una diversa direzione, anticipa l’altro, aumenta la velocità, liberandosi da quella forma geometrica morbida ma restrittiva.
Come adolescenti, teenager entusiasti corrono e giocano tra di loro. Sono belli. Sono nuvole azzurre su un’asettica scena bianca, entusiasti della vita, pronti all’amore, ridono in faccia al futuro, al destino che li attende. Le loro azioni esplorano le infinite declinazioni di quella risata che sembra essere solo una delle più comuni reazioni emotive dell’essere umano. Soffocata, isterica, a singhiozzi, sguaiata, ruggente, intima; a volte si ride solo con gli occhi, con la bocca.
La risata e la danza
La risata contagia il pubblico, lo istiga, magari lo fa sentire stupido per quel ridere illogico, senza un perché. A pensarci bene non c’è proprio nulla da ridere. Ormai si ride poco, quasi mai. O perlomeno non così di gusto. Ma di questa risata Sciarroni ne esaspera, invece, la musicalità e le conseguenze fisiche in un crescendo che arriva fino a metà spettacolo per poi esplodere in un unico blocco coreografico costruito sulle alterazioni ritmiche di quell’assurdo ridere.
Per il troppo ridere ci si piega in due, le mani sulla pancia, si scalcia, si agitano le braccia verso l’alto, si lasciano ciondolare da un lato all’altro del corpo quasi a scacciare pensieri, preoccupazioni. Una sola sequenza di pochi passi, semplicissimi, umani, bene scanditi su una musica altrettanto marcata e che sembra quasi voler sillabare la voce della risata in un cadenzato ah-ah-ah. La musica ride così come la danza. La potenza corale dei movimenti e della voce sembra un chiaro opposto della solitudine del singolo spettatore che forse ne esce quasi invidioso di tutta quell’amicizia, della felicità.
La figura dell’Augusto
Ma questa felicità non può essere il solo motore del riso. Si ride anche per rabbia, per nevrosi, per paura, per tristezza. Forse i danzatori non sono poi così diversi dagli spettatori. Dopotutto l’Augusto che da il titolo alla performance è il nome del grande imperatore romano. È un nome potente che tutto può, anche ridere senza una ragione. Ma l’Augusto è anche il clown, il fool, il giullare sciocco che dopo averne combinata una delle sue prende uno schiaffone dal suo degno compagno. Le lacrime dovute a quello schiaffone sono spesso causa delle risate e anche dello scherno del pubblico circense. In questo caso no. Lo spettatore diventa empatico di fronte al dolore di una donna schiaffeggiata da un uomo.
È un’emplificazione, forse banale, della violenza umana ma con la quale Sciarroni centra perfettamente l’obiettivo. E poi ancora, il pianto disperato di un uomo improvvisamente interrompe la coreografia e lo spettatore si fa partecipe della sua inquietudine, della sua sofferenza. Un altro performer si avvicina a consolare il compagno che piange, lo abbraccia, tornano a ridere come i bambini che si sono fatti male giocando “ai giochi dei grandi”.
Sciarroni con Augusto riesce a toccare le corde giuste, quelle interne e più viscerali dell’individuo e quelle, certamente più complesse, del vivere sociale. E lo fa, questo il suo merito, con la semplicità.