Di Plauto conosciamo tutti, p…

Di Plauto conosciamo tutti, p…
Di Plauto conosciamo tutti, per ricordo scolastico, le caratteristiche salienti del suo teatro: i riferimenti al teatro greco (soprattutto a quello di Menandro), il suo carattere popolare e comico, ispirato alle Atellane (genere teatrale autoctono romano, caratterizzato da una comicità farsesca e grossolana), la vocazione al metateatro, alla capacità di rivolgersi direttamente al pubblico senza pretendere che creda alla finzione ma commentando con lui quel che avviene sulla scena. Ma cosa tutto questo significasse per il pubblico di allora, o può significare per quello di oggi, è qualcosa che normalmente non ci è dato sapere. Le messe in scena contemporanee di Plauto, infatti, di solito si attestano a una pedissequa fedeltà al testo (dal prologo che introduce l’azione, ai deverbia, le parti recitate, finoai cantica, le parti cantate, cioè in versi, che nell'Aulularia sono particolarmente felici e notevoli per la varietà), ricorrendo a una traduzione ostica con la quale rendere in qualche modo la metrica latina (i senari giambici, che corrispondono ai trimetri giambici greci, e i settenari trocaici, che corrispondono ai più arcaici tetrametri trocaici catalettici greci), per noi impossibile da intendere visto che abbiamo perso il senso della quantità delle sillabe e ci rifacciamo solo agli accenti tonici; oppure cercano di aggiornare la commedia al presente stravolgendone l'impianto narrativo con l'inserimento di contesti diversi, moderni, multietnici. Tutte operazioni lecite che poco servono però a mostrare cosa è, cosa era, il Teatro di Plauto a un pubblico di stampo popolare e non necessariamente colto (com'era quello cui si rivolgeva Plauto) il che non significa un popolo bue ma, al contrario, pretenzioso, esigente e che si annoia facilmente. L'aulularia portata in scena da La bottega del pane è invece di tutt'altra caratura. La scena è l'intero palcoscenico privo delle quinte, tutto è a vista e basta la performance di chi recita per attirare l'attenzione dello spettatore distraendolo da ciò che accade sul palco altrove, in maniera del tutto equipollente al teatro romano, e comunque lontano da un'idea recente di teatro (sempre più cinematografica) che fa della scenografia l'unico viatico per l'allestimento di una scena, in barba alla vera essenza del teatro che è evocazione. Come unica demarcazione tra la scena e le zone di quinta due carrelli appendiabiti e due ruote da fiera sulle quali son appese tante pentole che si rifanno al nome della commedia (Aulularia vuol dire " pentola d'oro"...). Dario Garofalo, Cinzia Maccagnango, Luna Marongiu e Cristina Putignano non prescindono dalla loro natura primaria, quella di attori (attrici) veri(e), cioè animali da palcoscenico, forniti di particolari doti acrobatiche, fisiche, interpretative e canore. Partendo da questa loro centralità si sono costruiti addosso una macchina-spettacolo nella quale la loro personalità di individui viene cancellata dall'uso di maschere e si pongono tutti al servizio del testo. In quattro, infatti, interpretano a turno i 10 personaggi della commedia più una dozzina di figuri, gente del luogo, abitanti, intrusi, cantanti e ambulanti (dalle note di regia). La continuità del personaggio da un attore all'altro (all'altra) è data dalle maschere (che, durante i cambi di personaggio, o meglio, di attore, a volte si lanciano addirittura l'un l'altra). Maschere bellissime, quelle della commedia attica nuova, secondo i modelli fittili, che in anni recenti gli scavi nella necropoli di Lipari ci hanno restituito che permettono un immediato riconoscimento dei personaggi, al quale contribuiscono le tre attrici e l'attore con una sorprendente capacità di gestire linguaggio del corpo, gesti, attitudini e postura. Le maschere non sono una mero omaggio al teatro antico ma una delle tante intelligenti attrezzerie impiegate in maniera squisitamente teatrale: tutto può servire per la scena, a saperlo usare. Così, per esempio, quando Euclione intima a un servo, sorpreso a gironzolare intorno a un primo nascondiglio della pentola, di spogliarsi, questi (interpretato in quel momento da una delle tre attrici) si cala le braghe e la carota e i pomodori precedentemente usati dai cuochi per allestire il banchetto di nozze servono come rigonfio delle sue mutande... Un teatro in bilico tra circo, cabaret, farsa e commedia comica eseguito con una precisione attentissima a non far scadere mai la farsa in parodia. La vicenda dell'Aulualria viene infatti raccontata con grande rispetto per lo spirito della commedia (colmo di giochi di parole e doppi sensi mai volgari) apportando solamente delle sovrapposizioni tra le storie raccontate due i nuclei: 1 Uclione, il vecchio povero e avaro che sospetta chiunque possa rubargli la pentola d'oro che ha trovato, compreso Megadoro il ricchissimo anziano vicino, che ha chiesto in sposa sua figlia Fedra; 2 Liconide, nipote di Megadoro, che ha stuprato Fedra, mettendola incinta, ma appreso che la ragazza è stata data in sposa a suo zio Megadoro si accorge di amarla e la chiede lui in sposa a Euclione) per amplificare il meccanismo comico e alimentare gli equivoci (quando Liconide vuole confessare lo stupro e riconoscere il bambino appena nato, Euclione, all'oscuro di tutto, crede che il ragazzo stia confessando il furto della pentola...). La pentola gli è stata sottratta in realtà da Strobilo, il servo di Liconide. E proprio sull'alterco tra Strobilo e il suo padrone al quale offre il tesoro di Euclione in cambio della libertà la commedia si interrompe l’ultima parte essendo andata perduta. La Compagnia La Bottega del pane ha trovato una via felice, colta, intelligente e accessibile a tutti estremamente efficace nell'esaltare le potenzialità del testo. Quando a Euclione viene sottratta la pentola si rivolge direttamente al pubblico in una delle pagine più famose della commedia. I quattro attori si trasformano in quattro ...Euclioni (ognuono con una maschera identica) e si rivolgono al pubblico scendendo in platea chiedendo di indicare chi ha sottratto loro la pentola e non capacitandosi delle risate (ma perché ridete?!?!). Una rida di invenzioni (il cambio di interprete per lo stesso personaggio più volte nella stessa scena), la presenza di personaggi che provengono anche dal nostro mondo (come un questuante che vuole 20 centesimi per la metro o una turista francese anche lei, secondo Euclione sedotta dalla sua ricchezza...) le acrobazie e la fisicità schietta del teatro di strada (senza sfociare nel funambolismo ma rimanendo sempre di gusto medio che ben si addice alla commedia) vengono impiegati come parte integrante di un teatro in piena sintonia con la contaminatio plautina. Mentre le parti cantate del testo plautino (cioè in versi) sono restituite da vere e proprie canzoni, scritte all'uopo e interpretate ora con l'ausilio di due microfoni, ora con la sola potenza della propria voce (e, incredibilmente, la differenza è minima, forse perché le maschere amplificano davvero la voce dell'attore come diceva Dario Fo nel Manuale minimo dell'attore). Un teatro che la tradizione vorrebbe di parola (il cui testo a tratti fa sospettare si tratti di invenzione degli attori e invece sono tutte frasi puntualmente presenti nella commedia di Plauto) e invece è fatto, anche e soprattutto, di recitazione. Un omaggio preciso e sentito a un teatro dimenticato, ignorato, seppellito tra i libri di scuola, che ritrova vita grazie a Dario Garofalo e alla sua compagnia, dimostrando che il Teatro non è morto ma vivo invece, ricco, desideroso di comunicare, e che ha tantissime cose da dire. Uno spettacolo sorprendente, indimenticabile, da far girare nelle scuole per far capire anche agli studenti che solo perché è oggetto di studio, un autore non è detto sia per forza difficile o noioso. Aulularia teatro Fara Nume, Roma (Ostia) dal 5 al 7 dicembre 2008