Lirica
AURA

Poveri, belli e... inguaiati

Poveri, belli e... inguaiati

A distanza di un anno dalla felice messa in scena de Il gioco del vento e della luna, Luca Mosca - compositore milanese, ma veneziano d'adozione - e la librettista Pilar Garcia sono ritornati al lavoro per presentare al Teatro Comunale di Treviso in prima esecuzione assoluta l'atto unico Aura, secondo titolo della Stagione Lirica 2016/2017. Anche questa volta l'operazione scaturisce nell'ambito d'una stretta collaborazione tra Teatri ed Umanesimo Latino – responsabile della storica sala trevigiana – e il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia. Il primo ha messo i mezzi, l'antico istituto veneziano ha provveduto alle forze artistiche: perché vi insegnano sia Luca Mosca sia Giovanni Mancuso, che il lavoro l'ha diretto; e perché dalle sue aule provengono sia la piccola orchestra in buca (tredici elementi tra fiati, chitarre classiche ed elettriche, arpe, vibrafono, tastiere acustiche ed elettroniche) sia i quindici giovani cantanti - alcuni dei quali già visti in scena l'anno scorso con Il gioco - tutti inseriti nel progetto di avvio professionale dell'atelier “Opera Studio Lab”.

Aura viene definita dai suoi autori “opera comica”, ma in realtà non si direbbe che l'elemento comico emerga molto dal breve racconto che viene portato in scena. Il plot, invero un po' banaluccio, vede infatti una piccola comunità di giovani affannarsi alla ricerca di un qualsiasi lavoro, full time o part time che sia non ha importanza. Quanto basta poter campare oggi, e intravedere all'orizzonte un qualche futuro per domani. Dai loro discorsi si intuiscono i caratteri più vari, e che ognuno ha un progetto, una speranza per il futuro; ma il mondo attuale non è benevolo nei loro confronti. Insomma, tutti hanno «grandi sogni, ma non i mezzi per realizzarli». Uno dei maschietti, il goffo e superficiale Paolo, sta nei guai perché per raggranellare soldi facili s'è messo a disposizione di Kapu, un malvivente che spaccia droga in città: aveva l'incarico di consegnarne una partita, ma se l'è fatta fregare sotto gli occhi. Kapu, che si dà arie di seduttore ed ha messo gli occhi su Aura, la ragazza di Paolo,  minaccia di ammazzarlo se non salta fuori la droga rubata, oppure i quattrini che gli spettano. A questo punto, pur di salvare il ragazzo che adora nonostante i suoi difetti, Aura escogita un piano. Finge di concedersi a Kapu, che in cambio lascerà in pace Paolo, e per questo lo invita a casa sua; ma al momento di andare a letto, gli chiede una dose di metanfetamina per eccitarsi, cosa che l'uomo fa ben volentieri. Aura però la getta via di nascosto: nel frattempo, infatti, aveva inalato della tassina, un alcaloide vegetale che la fa presto piombare in una morte apparente, né più né meno d'una moderna Giulietta.

L'espediente funziona, perché Kapu viene preso dal panico – la convinzione d'aver provocato una morte per overdose è troppo anche per lui – e se ne scappa alle Barbados. Tornati a casa, Paolo e gli amici di Aura cadono nella disperazione, credendola morta; ma pian piano la ragazza rinviene, tra l'esultanza di tutti. E' il suo come un « percorso ascetico, catartico, una sorta di rito di passaggio dall'età dei sogni (...) ad una sorta di nuova età adulta dove si accettano i compromessi che la vita riserva, quotidianamente, nel bene e nel male». Questo perché come è accaduto ad Aura «ci si innamora sempre della persona sbagliata, ma non tutto è perduto», è il commento nelle note di regia scritte da Alvise Zambon. Il quale, nel mettere in piedi questo spettacolo – la locandina parla di coordinamento del progetto e regia”, cioè molto ricade quindi sulle sue spalle - compie la non facile impresa di conferire una qualche compattezza, ed imprimere un convincente fluire narrativo ad un libretto dai meriti letterari alterni, in cui si incontrano pagine accattivanti -  dove il carattere dei singoli personaggi emerge appieno -  ed altre che non lo sono affatto: le disquisizioni della protagonista sulle cipolle in «Dovrei tenere in ghiaccio», per dire, risultano francamente tediose. Libretto poi che, proprio per la sua abbondanza di spunti, si porta dietro una drammaturgia poco incline ad essere compressa in uno spettacolo di novanta minuti.

C'è, insomma, in questa Aura vista a Treviso, una sensazione di precipitazione, di irrisolto, aggravata dalle scelte musicali di Luca Mosca il quale, ispirandosi forse ai vari linguaggi musicali più attuali - accenni di pop-rock ed hip hop, direi – in questa sua partitura adotta per le voci frasi musicali dalle geometrie astratte, e spezzate da continue sospensioni; e lasciandole talora scivolare inaspettatamente nel parlato. Voci spinte al limite dell'astratto, verso aspri disegni musicali, limitando il libero fluire d'una melodia – e ce ne sono di non disprezzabili - a pochi distesi momenti. In più, lo vediamo adottare un apparato strumentale inconsueto, forse estraneo alla sua sensibilità – affida, per esempio, l'animo della protagonista ad una sognante chitarra elettrica  – ed impostare con esso frasi musicali, e combinazioni sonore e timbriche spigolose, a volte sin troppo rarefatte, rendendo Aura una partitura in qualche modo asettica ed imperfetta, diversa e lontana da altre sue più riuscite creazioni – penso a Mr. Me, a Signor Goldoni, al già citato Il gioco del vento e della luna – con un procedere compositivo e con combinazioni musicali che, salvo brevi oasi liriche, peccano di un neutro cerebralismo. Nondimeno, un dovuto e ben meritato elogio va indirizzato a Giovanni Mancuso, che ha tenuto ben serrate nelle sue mani le fila di questa non facile partitura, coordinando a dovere le forze del giovane ed eterogeneo ensamble strumentale radunato per l'occasione.

Che poi il libretto di Pilar Garcia sia stato pensato ad hoc per questa produzione trevigiana, lo testimonia il fatto che i personaggi di contorno hanno nomi che si rifanno a quelli dei rispettivi interpreti reali. Ragazzi/e tra i venti ed i trent'anni, ognuno presente in scena con la propria bravura che, oltre all'entusiasmo ed al notevole dispendio di energie, fa intravedere la solida preparazione tecnica ed artistica che Opera Studio Lab è in grado di offrire ai suoi allievi. Ed a questo proposito, è bene dire che alcuni d'essi appaiono già avviati nei primi passi della carriera. Il soprano brasiliano Fernanda Girardini è una dolce, ma volitiva Aura; il baritono Francesco Basso interpreta molto bene il vacuo Paolo; la sottile ironia del baritono Dario Giorgelè conferisce opportuna corporeità a Kapu; il soprano giapponese Erika Tanaka rende a perfezione la vanesia Giulia. Poi ricordiamo in breve gli altri componenti di questa commedia corale: Kalliopi Petrou (Popi), Mirijana Pantelic (Mira), Safa Korkmaz (Safà), Elena De Simone (Ria), Andrea Biscontin (Bisco), Claudia Graziadei (Grazia), Federica Corrò (Fede), Valentina Corrò (Vale), Asako Watanabe (Asako), Serena Bozzo (Erba), Ludovica Marcuzzi (Ludo).

Il “progetto drammaturgico" (cito di nuovo la locandina) disposto da Francesco Bellotto prevede ovviamente moderni abiti casual, ed una scenografia unica che ci porta nel disordinato loft dove convivono i nostri baldi giovani; le ben guidate luci sono di Andrea Gritti.

(foto Piccinni)
 

Visto il 18-11-2016
al Comunale Mario del Monaco di Treviso (TV)