Danza
BACK LINE HOMAGE TO MERCE CUNNINGHAM

Riuscita ed elegante l'ultima fatica di Verga

Riuscita ed elegante l'ultima fatica di Verga
Dopo lo studio  andato in scena a Roma, nel giugno del 2009 al Furio Camillo, Dino Verga presenta la versione definitiva della coreografia Backline, alla St. Stephen's School di Roma. Musa ispiratrice di Backline, già nella sua forma di studio, è Merce Cunningham, il grande coreografo statunitense. Quando era ancora in vita, lo scorso giugno, l'omaggio era tra le righe di una ricerca coreografica a lui ispirata, adesso, dopo la sua scomparsa avvenuta il 20 luglio 2009, l'omaggio è divenuta esplicita dichiarazione d'amore non solo per il maestro (Dino Verga ha studiato con Cunnighnam) ma anche per l'uomo, l'amico. Per questo spettacolo Verga ha voluto la St. Stephen's School che, più di un tradizionale teatro, gli ha permesso di presentare la sua coreografia  in uno spazio performativo dove tutto è a vista banco musiche, video e luci compresi, proprio come negli event ideati da Cunningham. Le coreografie sono sviluppate su moduli che prevedono la presenza variabile da uno a dieci ballerini, montate in assenza di musica, da giustapporre in diverse sequenze, a seconda della serata, facendo di ogni sera uno spettacolo unico. A sostenere le coreografie le musiche di Marco Schiavoni il quale, occupando a vista, in tutta la sua larghezza, il fondo della scena, tra suoni già campionati e campionature in estemporanea, suona tastiere, chitarra e altri strumenti, avvalendosi anche dei vocalizzi di una voce femminile, improvvisando una partitura musicale in sintonia con le diverse coreografie. Sul lato sinistro della scena la postazione degli Amarena Pictures che hanno realizzato le videoscenografie proiettando su due diversi schermi le immagini provenienti da due diversi pc manovrati in estemporanea  (sul primo schermo, più grande, le immagini multiple di due proiettori posti a 45 gradi che, insieme ricompongono una immagine unica; sul secondo rielaborazioni grafiche al pc di immagini di varia natura) frasi di Cunningham, estratti dei sui film, applicazioni dei suoi software (Cuningham è stato il primo a ideare un programma al pc per rilevare digitalmente il movimento coreutico), dettagli di volti, forme geometriche e colori, in una incessante successione. Su questa partizione complessa si inseriscono stralci generosi di interviste nelle quali Cunningham spiega il suo modo di intendere la danza (basato tanto sul movimento quanto sulla sua assenza) o dove discetta della vita, dei genitori, del mondo in generale (in lingua originale, non dimentichiamoci che siamo in una scuola internazionale di lingua inglese...). Riccardo Frezza nel curare le luci, non potendo operare in una dinamica buio/luce senza escludere i molti altri elementi che contribuiscono alla coreografia (oltre ai musicisti, e ai videoscenografi, alcuni danzatori e coreografi che possono liberamente sedersi ai lati della scena per osservare l'andamento delle coreografie), opta per una soluzione elegante lasciando in luce l'intero spazio con microvariazioni apparentemente impercettibili di intensità e di colore (tra i bianchi e gli ori) che, invece di ridefinire lo spazio, ridefiniscono il concetto di luce che qui permea la scena come l'aria che respiriamo impiegando anche lo stesso riflesso delle luci dal pavimento verso l'alto. Anche le coreografie hanno una loro parte di interventi d'improvvisazione: mentre il corpo di ballo di Dino Verga esegue le coreografie  Dino stesso infatti, Roberta Escamilla Garrison, Caterina Genta e Luca Russo intervengono con contributi coreografici e/o scenici. Non sia tratto in errore il lettore. Questa complessa messa in opera funziona come un organismo solo, ora andando all'unisono ora di contrappunto senza che mai una parte ignori il resto, dove le coreografie messe in scena con due variabili di solito tradizionalmente prestabilite quali la musica e le scene possono permettersi quel respiro in più che è uno dei tratti distintivi di Verga.  Verga rinuncia a tutti gli obblighi della danza moderna, impiego gerarchico dei danzatori, uno sviluppo narrativo dei movimenti coreografici, in una liberatoria rivoluzione che vede agire ogni danzatore, ogni ballerina, al contempo sul movimento (o sulla sua assenza) che sta compiendo lui (lei) e anche su  una reattiva risposta dinamica a quanto fanno gli altri perfomer. Uno sviluppo coreutico che va per nodi, per grumi che si allargano e si restringono dove ognuno mantiene una propria individualità performativa garantendo lo stesso una composizione di gruppo di notevole efficacia. Certi gesti, ripetuti, variati, ricompaiono in quadri diversi come un riverbero emotivo, pre-cognitivo, che la danza ha sui suoi esecutori ma anche sul pubblico in sala. Liberato dall'obbligo di una decodifica narrativa lo spettatore può infatti esplorare il movimento dei danzatori (coadiuvato, ma anche no, dalle improvvisazioni musicali, magari distratto dalle videoscenografie) assistendo a un accadere molteplice col quale trova presto un punto di contatto, di sintonia o di dissonanza, ma mai di indifferenza. Tutt'altro che astratti i movimenti dei ballerini sono infatti umani, sono gesti e pulsioni date dalle possibilità fisiche dei loro corpi (beh magari solo da quelli allenati, e sempre con una tecnica migliore, del corpo di danza di Verga) dove alla pulizia nell'esecuzione corrisponde sempre un sentimento, un'emozione, o, più semplicemente, la fisicità di un corpo che si muove su un Pianeta con una determinata forza di gravità. Ipnotizzati gli spettatori si immergono sul complesso Event messo in opera da Verga (e da tutti gli altri) sostenuti dal piacere di scoprire una "logica interna", personale e intima,  nella coreografia cui stanno assistendo parlando un linguaggio che comunica a ognuno, collettivamente e individualmente, la necessità del corpo umano in danza, in movimento o da fermo, di cui la coreografia cattura alcuni momenti irripetibili e unici di spettacolo in spettacolo. Solo il quadro di apertura, un omaggio a Cunningham, che ripropone la sua coreografia Cross Currents del 1964, è elemento fisso di ogni serata, insieme alla chiusa, quando l'omaggio al coreografo si fa esplicito e Merce compare in scena come assenza. Una sedia a rotelle vuota, alla quale era costretto nei suoi ultimi anni di vita, viene fatta entrare in scena,  illuminata da un occhio di bue, unica luce presente in sala, mentre musiche e video sono tutti spenti e le danzatrici (i danzatori), illuminate(i) dall'algida luce di una torcia a led, tengono varie pose e passi coreutici. Un quadro che ricorda la caducità della nostra esistenza, ma per la durata di Back Line di quella caducità ci dimentichiamo, meglio, la perdoniamo se in quella caducità può nascere tanta bellezza.
Visto il 09-04-2010
al St. Stephen’s School di Roma (RM)