IL TRIBUTO DI SPOLETO A PINA BAUSCH
Un'atmosfera surreale. Il clima che si respirava nell'attesissima rappresentazione dell'ultimo lavoro di Pina Bausch al Festival dei due Mondi di Spoleto - che segnava il suo ritorno sulle scene italiane dopo alcuni anni di assenza - è un misto di lutto, incommensurabile dolore per una perdita di tale portata ed al contempo di interesse per lo spettacolo destinato a rappresentare il testamento artistico della grande coreografa tedesca deceduta solo 3 giorni prima del suo debutto spoletino.
Per darne conto, al contrario di quanto si fa abitualmente in una recensione, occorre partire dalla fine, cioè a dire dall'interminabile applauso in standing ovation, durato 8 minuti e 45 secondi, tributato dal pubblico.
Per due sole volte i danzatori sono usciti sul proscenio a ricevere l'omaggio, lasciando poi il palco vuoto, in un gesto di grande significato simbolico, destinando l'applauso alla grande artista della danza prematuramente scomparsa.
La commozione ha a quel punto pervaso il teatro, come succede quando a mancare non è un personaggio pubblico ma una persona di famiglia. Dunque lacrime vere, sentite, molte.
Non vuole essere un resoconto di cronaca, bensì il racconto di un evento teatrale. Giacché il teatro è anche questo.
Poi lo spettacolo. Bamboo Blues è l'affresco di un'India non scontata, lontana anni luce dagli stereotipi. Un'India concreta, concretissima, attuale più che mai.
È l'India di una tradizione che è tradizione solo in quanto viene dal passato. Non è mai un'India del folklore.
È l'India del presente, fatta di rapporti contrastanti tra cultura autoctona e occidentalizzazione, tra vecchio e nuovo, tra passato e futuro. È lo scontro tra una cultura delle caste e una cultura della tolleranza da assimilare senza lasciarsi stravolgere. È l'India delle danze, dei riti tradizionali, e quella dei call center e del business. È l'India di un perdurante conflitto di genere (con una donna in via di emancipazione sempre presente nello spettacolo).
È l'India di fronte a un bivio di identità, ma che è. Sempre e comunque.
Due ore di incanto, in un affabulatorio racconto esistenziale ed interlinguistico, splendidamente reso da una compagnia composta di danzatori superlativi aggregati da un genio del teatro-danza, che ora non c'è più. Ma che ha lasciato un ultimo colpo di pennello fatto di passione, poetica e magia.
Grazie Pina.
(spettacolo visto il 5/7/2009 al Teatro Nuovo di Spoleto in occasione del 52° Festival dei due Mondi)
Visto il
al
Nuovo Gian Carlo Menotti
di Spoleto
(PG)