In scena tre armadi e tre uomini. L’armadio è la casa, l’intimità. Lo scrigno dei ricordi.
Ma poi diviene una scuola, un cinema, o addirittura l’interno ed il tetto del Palazzo del Quirinale.
Armadi… esistenze. Sono storie di persone quelle che si raccontano: quelle di un non vedente, un non deambulante, un non pensante. Esistenze precarie che entrano ed escono dai loro armadi…
Un racconto comico, anzi tragicomico di tre persone sole e precarie che hanno fatto dell’amicizia un valore fondante della vita, della Costituzione.
C’è un grande orologio che sovrasta la scena, a ricordare il Palazzo del Quirinale dove in parte è ambientata la commedia (uno dei tre personaggi è il custode degli strumenti musicali della residenza del Capo dello Stato). Ma l’orologio scandisce anche lo scorrere del tempo che dà il ritmo della vita.
Storia delicata quella raccontata da Michele La Ginestra, Ettore Bassi e Sergio Zecca che fa anche tenerezza.
I loro personaggi, infatti, sono teneri, fragili, “disarmati”. Una banda in senso di gruppo affiatato che suona all’aria, che grida al vento. Tre uomini assurdamente “pericolosi” perché trovano nel gruppo coeso un riscatto morale, una forza interiore, dalla società negata.
La loro “rivoluzione” è dirompente per coloro che, nella società, vorrebbero non pensare, non vedere, non agire nei confronti di “diversi”, che sarebbe meglio chiudere negli armadi. La loro rivoluzione, in questo senso, è davvero… disarmante