Un po’ emozionato, ancora visibilmente sopraffatto dall’inaspettato ritorno al successo dovuto al singolo “Bang Bang!” tratto dal suo ultimo album, dopo averci presentato tutti i componenti della sua band - la cantante Ottavia Fusco, il dj Coccia (Antonello Aprea), il bassista Ciccio (Mario Rivera) e alle tastiere Gionfri (Gianfranco Mauto) - il leader protagonista di questo spettacolo interpretato da un esuberante Edoardo Sylos Labini, racconta ad un immaginario intervistatore di nome Red (evidente il riferimento a Red Ronnie e al Roxy Bar) il suo passato di star travolta dal mondo del rock, fatto di mondanità, frenesia, donne e soprattutto droghe di ogni genere. Ma ne parla in maniera quasi innocente come giustificandosi ed ispira simpatia mentre beve tranquillo il suo the caldo, cercando di convincerci che ormai ne è fuori.
Parte, così, dal ricordo della prima esperienza “mistica” in cui, sotto effetto delle droghe, cominciò a creare musica indimenticabile e ci narra il passato della band fino a quando, un giorno rimane “fulminato” da una frase banale, piena di luoghi comuni, pronunciata dal presentatore di un talk show e ascoltata per caso alla tv, che lo porta a decidere di farla finita con le droghe.
Edoardo riesce a raccontare ogni aneddoto, più o meno significativo, con una leggerezza ed una spontaneità incredibili, si tratti di descrivere momenti all’apparenza drammatici o semplici bravate: il nostro leader se la cava sempre con un sorriso, facendo apparire tutto come la conseguenza naturale ed ovvia delle circostanze.
Il primo brano tratto dall’album presentato si intitola “Noi siamo il mondo”, versione italiana chiaramente parodistica di “We are the world”. Il testo dice tutto: “Viviamo in una fogna immensa in un mondo di merdaaaa!” canta la band con passione ed enfasi e parte del pubblico si piega dalle risate, ma forse dentro ciascuno di noi nasce una riflessione su quanto sia verosimile la situazione descritta in quel brano, facendo un raffronto con la condizione che viviamo oggi… “Essere cane” vede protagonista un cane – Edoardo abbaia e scodinzola abilmente per calarsi nella parte – e la sua visuale del mondo umano, quello che definisce “normale” che tutto sommato non invidia. In “L’ultimo amico va via” il bassista della band, Ciccio si trova a un passo da un matrimonio non desiderato solo per via di una scommessa persa e offre una visione ironica e disillusa dell’amore e della vita matrimoniale ai nostri giorni. “Qui si sta bene” ci sorprende: Sylos Labini si trasforma magnificamente in un fragile disadattato metropolitano, disarmante per la sua semplicità ed efficacia nei ragionamenti “balbettati”; ha un sorriso aperto ed ingenuo e ci fa una tenerezza incredibile, quando da inguaribile ottimista riassume la sua visione della vita nel semplice motto “Un bicchiere mezzo pieno è… meglio di niente, ecco!”. Divertente il sesto episodio, “Top manager” che vede entrare Edoardo alle spalle del pubblico nei panni di un uomo d’affari che parla al telefono arrabbiato col suo avvocato e, passando tra le file delle poltrone, trasmette tutta la sua agitazione al pubblico. In un susseguirsi di telefonate di ogni genere, il protagonista indossa ogni volta una maschera diversa per rispondere alle esigenze di ciascun interlocutore e dirgli sempre quello che vuole sentirsi dire. Intelligente l’idea di usare un apparecchio telefonico differente per ogni chiamata, che ne rappresenti il più possibile la tipologia (come quello fuxia a forma di labbra, per la telefonata clandestina all’amante). L’ultimo brano, “Bang Bang!” chiude la rassegna di personaggi con una riflessione profetica sull’uomo, paragonato ad un topolino in gabbia che deve far girare la ruota sempre più veloce senza un senso né una direzione in un mondo ormai controllato da macchine e videofonini. Il leader comincia così a spogliarsi – è, a questo punto, Edoardo che si spoglia del personaggio e dell’arte - fino a rimanere in mutande, mentre ci spiega che l’unico modo per sfuggire a questo sistema è non fare niente e non produrre più nemmeno l’arte, limitandosi a crearla nella propria testa, dove nessuno può entrare.
Edoardo Sylos Labini, espressivo e disinibito, riesce a sostenere da solo il palco per tutto il tempo e ad esserne protagonista assoluto senza esitazioni. Lo spettacolo è costruito con cura dei dettagli, il testo è riscritto in maniera coerente ed uniforme, cercando continuamente di affrontare tra le righe con apparente leggerezza ed evitando la seriosità, argomenti e situazioni terribilmente attuali e cocenti. Non ne sbagliano una quelli della “band”, che sostengono e caricano la narrazione con una scelta perfetta di suoni e musiche; da notare l’intervento discreto ma efficace alla fisarmonica di Gianfranco Mauto nel settimo episodio.
Visto il
14-10-2009
al
Cassia
di Roma
(RM)