A sipario ancora chiuso una voce ci parla dei ragazzi di vita. Dove vita non deve riferirsi all'omosessualità (?!) ma alla vita di strada, a qualche reatuccio compiuto da chi vive in strada. E' la voce di Pino Pelosi, il minorenne che Pasolini incontrò la notte tra il primo e il due novembre del 1975 e che lo ucciderà per legittima difesa temendo violenze a sfondo sessuale dall'intellettuale che Pelosi dice di non aver riconsociuto.
Mentre la voce di Pelosi incalza, raccontando bugie sul delitto e la sua dinamica (l'assenza di altre persone presenti al momento del delitto, nonostante la condanna, nel 1979, per omicidio volontario in concorso con ignoti), ecco che un uomo scende dalla platea verso il palco, urlando e mettendosi faccia al muro. A torso nudo, i pantaloni retti da bretelle, la faccia dipinta di nero, guanti bianchi, un megafono in mano, l'uomo è presto raggiunto da una donna, magrissima, vestita di un abito nero, capelli fluenti sciolti sulle spalle. Di proscenio la donna segue i movimenti di danza dell'uomo, mentre le parole di Pelosi continuano o tacciono. Poi l'uomo si lascia inghiottire dal sipario ancora chiuso e trascina con sè la donna. Quando il sipario si apre lascia spazio a una scena nuda, vuota, con un telo da proiezione come fondale, tre lampadine che pendono dall'alto e un quadrato bianco sull'impiantito del palco. Inzia una coreografia a due per stazioni dove l'uomo e la donna si alternano in movimenti, di volta in volta illuminati solo dall'opalescenza della luce di una delle lampadine, ora appena accesa ora nel massimo della sua intensità. L'uomo si cala i pataloni e rimane in mutande per poi rivestirsi. Anche la donna comincia a spogliarsi. L'uomo ha dismesso i guanti banchi e il megafono e indossa dei lunghi guanti (di gomma?) che arrivano fino al gomito coi quali sagga il corpo e i seni della donna.
Poi l'uomo sparisce dalla coreografia, rimanendo ai bordi del palco, lasciando alla donna, ormai completamente nuda, l'esecuzione di una coreografia faticosa e impegnativa fatta di cadute e rialzate, di guizzi di un corpo percorso da spasmi.
Un corpo nel quale i tratti distintivi esteriori della femminilità sono ridotti ai minimi termini da una muscolatura asciutta e virile. Pochissimo seno, pube depilato, attaccatura tra gamba e pube tipicamente maschili, nelle sequenze con poca luce (a quella delle lampadine si è sostiuita una più consona luce dall'alto o di quinta) la danzatrice, una splendida Paola Lattanzi, sembra possedere il corpo asessuato delle bambole. Asessuato perchè privo dei dettagli anatomici del sesso femminile non perchè privo di connotazioni sessuali=di apaprtenenza a un genere. Un corpo che lo stesso Cosimi definisce androgino come se l'assenza di grossi seni o dei classici fianchi femminei implicasse immancabilmente l'assenza di un corpo appartenente comunque al genere femminile e il raggiungimento di una duale con-fusione tra i generi che non cis mebrano argomento precipuoi di PAsolini. Paola Lattanzi è e rimane una donna non solo all'anagrfe ma anche nelle nudità con cui si espone e si dona alla coreografia pensata da Cosimi. Un corpo niente affatto fragile, o indifeso, che, pure, soccombre, nella coreografia, a una forza violenta che la sopraffà, non importa quanto lotti strenuamente per resistere agli attacchi della strada, mentre, in videoprozieone, un'automobile incombe e si muove alle sue spalle verso di lei e dunque verso il pubblico. Paola Lattanzi si si impenna, si alza da terra con dei colpi di reni, rimane sdraiata ma con le gambe diritte, sollevate perfettamente perpendicolari al suolo.
Lui, l'uomo, assiste, fino al finale quando la danzatrice, o, meglio, il personaggio da lei evocato, cade esanime a terra e l'uomo dopo avere saggiato l'immobilità da corpo morto, può farlo suo, manipolandolo ancora, colorandolo di marrone, mentre la musica cambia, non più le ossessive e efficai note elettroniche del berlinese Robert Lippok dei To Rococo Rot, e diventa un canto tribale etnico. Così dipinta l'uomo le fa indossare delle scarpe col tacco a spillo bianche e la fa salire su una sedia, il braccio teso come la statua della libertà, mentre un sorriso di speranza (a detta di Cosimi) le illumina il viso.
Bastard Sunday somiglia più a un allestimento drammatrugico che a una vera e propria coreografia senza nulla togliere alla bravura della sua esecutrice. Cosimi dice di essersi ispirato alla figura e all’opera di Pasolini e di averla amplificata e vivisezionata verso una una complessità inedita. Dei molti elementi della poetica pasoliniana Cosimi si sofferma su la vita di strada intesa sia nella concretezza dell'automobile che incombe sulla danzatrice sia nella metafora di un'esistenza vitale che lotta e soccombe. Così come sono bene evidenti alcuni dati biografici dell'intellettuale che emergono nella loro dirompenza visiva (il pallone da calcio, sport che pasolini amava e praticava tanto) o storica, l'assasinio di Pasolini avvenuto in cirocostanze mai del tutto chiarite, con il concorso di Pelosi le parole del quale aprono lo spettacolo. L'astrazione della coreografia e dell'impianto drammaturgico dell'allestimento diluiscono le coordinate pasoliniane in un assunto generico che pur colpendo lo spettatore (la performance di Paola Lattanzi non lascia certo idnifferenti) non brilla per chiarezza ed efficacia di contenuto. Rispetto ai temi politici, culturali, antropologici e sessuali che Pasolini ha affrontato nella sua opera poliedrica (cinema, letteratura, teatro, poesia, canzone, disegni), in Bastard Sunday c'è ben poco mentre la sua persona rimane evocata senza fare cenno alcuno all'omoerotismo che, pure, è una delle tessere del mosaico.
Che sia stato ispirato da Pasolini Cosimi ce lo dice nelle note di regia, mentre nel suo spettacolo Pasolini aleggia come entità fantasmatica, più corpo assassinato, evocato dal corpo androgino di Paola Lattanzi, che poeta.
Danza
BASTARD SUNDAY
Ma Pasolini dov'è?
Visto il
05-11-2010
al
Vascello
di Roma
(RM)