Alto come uno che faceva basket da ragazzo, nella squadra del Benetton per giunta, lui che è nativo di Treviso, ancora oggi dinoccolato e magro e con uno sguardo azzurro che varia dall’ingenuità di un bimbo che scopre il mondo sorridendo al buio di un emarginato che sta per togliersi la vita. Giulio Casale è uno strano artista, di quelli che giocano per potersi muovere e sul palcoscenico non stanno fermi quasi mai, che reciti poemi o suoni la chitarra come quelli che suonano per strada, strillando quasi e dimenandosi; eppure tempo fa aveva recitato quasi sempre seduto con “La canzone di Nanda”, un recital dedicato alla grande scrittrice e traduttrice Fernanda Pivano.
Eppure non ha bisogno di farsi notare, la sua voce è forte e piena di energia, piano piano rapisce l’attenzione e il cuore e la mente del pubblico, che lo giudica con sospetto all’inizio e dopo un po’ viene trascinato dalla commozione, dall’entusiasmo, dall’empatia che innalza il livello di calore e si espande nell’atmosfera. Ieri Giulio Casale ha debuttato al Teatro dei Filodrammatici con The Beat Goes On accompagnato dalla sua chitarra acustica e da Matteo Curallo al pianoforte e tastiere elettroniche, curatore degli arrangiamenti eseguiti per l’occasione dal vivo.
Sembrava facesse un banale ‘Nanda 2’, cioè altre canzoni americane dei tempi di Kerouac, Ferlinghetti e Ginsberg e difatti di quello si è parlato all’inizio, in modo affascinante peraltro, ma il protagonista di questo reading-recital-show si è spinto poi a parlare di Luigi Tenco, ha ricordato Fernanda Pivano più volte e, citando la traduzione che per prima in assoluto lei fece ai poemi di Lee Master, tradotti nel 1945, quando qui si usciva a brandelli da una guerra persa due volte e da un periodo fascista in cui l’inglese era vietato per legge, Nanda fece pubblicare e leggere in italiano ‘Spoon River’, il capolavoro che avrebbe portato Fabrizio De Andrè trenta anni dopo a scrivere un intero album dedicato a quei testi, scrivendo musiche splendide di accompagnamento.
Così Giulio racconta la storia intera, ricorda i meriti di ciascuno e le difficoltà e la gloria vera, parla infine di quello sconosciuto, sepolto sulla collina, che suonava così bene, che tutti volevano sentirlo e lui amava farsi ascoltare, specie dalle ragazze che, ballando, sollevavano la polvere con la gonna, come Mary che lui amava e anche gli ubriachi amici suoi, che con la sua musica si sentivano meno soli. Casale ha un repertorio davvero importante, può passare da un divertente brano di Giorgio Gaber, per giunta somigliandogli all’improvviso, come fosse un camaleonte della memoria, sia nella voce che nel portamento, salvo interrompere quella divertente canzone sulle ‘Elezioni’ per dire che lui andrà a votare Pisapia. “E questa è l’unica cosa vera che dico qui”.
The beat goes on, ‘il tempo-battito-ritmo va avanti’, parte dall’America di mezzo secolo fa e percorre tutti questi decenni. Non è solo la nostalgia che ci deve unire ma il messaggio, puro, autentico, vero e forte: dobbiamo ancora lottare, non è finita, non dobbiamo più permettere “che la gente sia considerata un niente” e che l’inciviltà e la violenza abbiano il sopravvento. Bisogna ancora tornare a combattere per i propri diritti sacrosanti, non arrendersi. Finalmente sembra che la sala esploda come un tappo emotivo che fa bum: Giulio Casale non è più un interprete, è lui il giovane di oggi che intona la carica per lanciarsi sul fronte di liberazione, lui che incarna i capibanda buoni e bravi di cui abbiamo bisogno per seguire la retta via, la strada verso il futuro.
Canta Bob Dylan, recita una poesia, infila un brano delizioso dei Beatles, una canzone irriverente di Jacquel Brél, un pezzo originale di Jim Morrison; non conta l’epoca, è sempre qui e ora, è adesso, è proprio davanti a noi e gli spettatori, per lo più giovani che spesso, ci scommetto, non sono in grado di collegare i brani che si susseguono senza sosta ai veri autori originali che li cantavano un tempo, capiscono però il messaggio, il senso e rispondono, sorridono, battono le mani, sentono il ritmo, sembrano felici di essere coinvolti. Così si direbbe che, senza essere un vecchio dai capelli grigi che ricorda il passato glorioso del rock, Giulio Casale lo incarna rigenerandolo, dandogli vita nuova e vera, facendo sentire chi lo ascolta come spettatore di qualcosa di importante, capace di cambiare l’orizzonte.
Fosse così.... speriamo! Giulio Casale può essere il vero nuovo eroe che, approfondendo il passato, si è catapultato verso il futuro. Il look ce l'ha, la grinta pure, basta solo che resti puro il suo cuore.