Quando il proprio modo di essere è nascosto dietro a dei luoghi comuni. Essere norvegesi vuol dire avere l’esclusività nella disposizione dell’arredamento - divano in particolare - in direzione di una finestra, anziché davanti alla tv? È tipicamente norvegese dire di avere fame quando si è assetati, quando si desidera qualcosa di nuovo e di diverso? Secondo Lisalotte, meglio nota come Lisa, si. Lei è norvegese, bella, tenera, morbida e in cerca di affetto e di calore umano. E incontra lui, Sean, in un pub scozzese, intento a leggere assorto un poliziesco davanti ad una birra, lui che norvegese non è e che in quel momento non è in cerca di niente, se non di un po’ di solitudine e pace. La conoscenza continua nell’appartamento di lui, spoglio ma più che altro in disordine, con libri impilati e in cerca di sistemazione, scatoloni da disfare e una bottiglia di vino che ha appena dieci anni ma che viene aperta per sugellare il loro incontro.
In un’ora di spettacolo, i due avranno modo di rivelarsi l’uno all’altro, alternando alla cauta esplorazione di gusti e pensieri, anche scontri tanto assurdi da sembrare surreali, ma in realtà così veri da ricordare i battibecchi quotidiani di ciascuno di noi. Come spesso accade, il gioco è inizialmente condotto da Lisa, una gatta che sembra fare le fusa ma anche piena di fragilità e incertezze. La sua apparente sicurezza lascia sgomento Sean, reduce da un anno di prigione e a disagio con il mondo, il quale non sa cosa fare e decide di tirarsi indietro, spaventato da sviluppi che non sa come gestire.
La pièce offre uno spaccato della vita quotidiana, spesso ruvida e dura, oltre che precaria, analizzando con delicatezza e un umorismo, spesso involontario, le relazioni umane e sentimentali. Una storia che sembra quasi suggerire la necessità di reinventare continuamente le nostre identità per sopravvivere e apparire più interessanti agli occhi degli altri. Tutto si gioca sull’interpretazione dei due attori protagonisti, Elena Arvigo e Roberto Rustioni, tra i quali sembra esserci una complicità e un’intesa professionale che li rende inattaccabili da un punto di vista recitativo e sulla quale si regge l’intero schema narrativo. Una menzione particolare va poi a Paolo Calafiore che, con pochi elementi nell’allestimento, ha saputo ricreare un ambiente comune ma non banale, affidandosi soprattutto ad un ardito gioco di luci, per sottolineare la complessità delle dinamiche relazionali. Una ricostruzione dei diversi stati d’animo, di tensioni e imbarazzi delle intimità che si vengono inaspettatamente a creare tra individui sconosciuti ma che, in realtà, si attirano come magneti.