Un microfono, lo spazio vuoto, il buio e il silenzio dalle mille forme, un faro frontale azzurrino, un blu di controluce. E' sufficiente questa spartana cornice per far nascere la magia delle parole, l'incanto della poesia e della voce di Mariangela Gualtieri in “Bello Mondo”.
Dalla platea sale sul palco con la ieratica serenità e semplicità del suo sorriso arreso agli sguardi, con la bocca incollata al microfono comincia lenta la sequela di poesie, recitate per la maggior parte a memoria, dal cuore senza scomporsi, tutta tuffata dentro all'arco emotivo di quei suoni scelti per toccare corde dell'anima e il luccichio degli occhi si fa evidente in sala.
Si succedono poesie dalle silloge che nel tempo la Gualtieri ha composto, con quel suo stile materico, inconfondibile che omaggia un filone poetico che da Whitman in poi cerca una fusione sincera e profonda tra uomo e natura, tra sentimenti e corpo, materia e spirito. Da un libricino nero legato alla cintola prende spunto per agire con i suoni precisi delle parole che avvolgono, coccolano, straziano e perdonano, fino alla richiesta finale di bis, Bambina mia.
Un viaggio emozionale, in tempi antichi e mantra sonori, in una materia umana così vicina a noi, da sentirne echi di voce materna. Da risentire, da rivedere, da rivivere.