Dopo le repliche parigine, il Berlin Kabarett di Stéphan Druet approda in Italia con grande verve ed una grande Marisa Berenson che agita le perverse acque vintage del periodo che ha accompagnato l'avvento del nazismo.
Dopo le repliche parigine, il Berlin Kabarett di Stéphan Druet (con la musica di Stéphane Corbin e Kurt Weill) approda a Spoleto con grande verve, ed una grande Marisa Berenson che agita le perverse acque vintage del periodo che ha accompagnato l'avvento del nazismo, anticipandone tutti i segni.
Adolf est partout
La lingua francese è d'obbligo, legata a quella abbacinante quanto decadente ossessione del Dover Vivere, in un mondo in cui l'inesorabile muro contro cui andare a sbattere si avvicinava sempre più velocemente. Berlin Kabarett è il catalizzatore di ascose perversioni che erano di lì a diventare dominatrici nel e del Reich, e quindi della nazione intera, forse ancora ignara di dover essere dominata dai sotterranei desideri libertinini/liberticidi di pochi.
Tavolini, bollicine, lume di candela: l'atmosfera rarefatta e potente è ricreata con ottime soluzioni (con le coreografie Alma de Villalobos e i costumi Denis Evrard), ma la resa degli attori/musicisti è quella che veramente fa la differenza: una compagni eccellente in cui oltre alla protagonista si distingue l'enigmatico, triste quanto esplosivo personaggio en travesti di Sebastiàn Galeota, figlio della protagonista Kirsten, una donna che dirige con ben pochi scrupoli un importante cabaret di Berlino ai tempi della Repubblica di Weimar. Insieme con l'ex-amante scrittore, un compositore “ebreo e comunista” e due musicisti, Kirsten attraversa il buio coevo navigando nei piaceri più estremi, con punte satiriche quanto tragiche: tutto sembra evocare una sorta di sindrome dei musicisti del Titanic, quella in cui l'allegria è quasi forzata mentre fuori tutto affonda, e la miseria dissoluta dei costumi si contrappone all'opposto disfacimento materiale, là fuori.
Meglio di un documentario
“La Germania ha una peculiarità anatomica: pensa con la sinistra, ma agisce con la destra”: una “destra” pervasiva che spande atomi di nazismo nelle sinapsi di tutti quelli che per salvarsi cedono ad ogni compromesso, a partire proprio da Kirsten. Sono tutte ottime voci, quelle che intonano le tante canzoni dello spettacolo, mentre come un macigno incombe sempre più pesantemente anche il rapporto psicoanalitico madre-figlio.
La vividezza di Berlin Kabarett lo rende più efficace di un documentario sulla Repubblica di Weimar, e fornisce un perfetto spaccato di quella Berlino capitale della notte e del piacere per la quale si scomodarono paragoni con Babilonia e Sodoma. Un luogo aperto a una nuova esibizione di erotismo degradante e nascosto, lecito nelle stanze chiuse ma sempre più difficile poi da esternare, finché Goebbels non si scagliò contro l'evidenza per chiuderli tutti, i cabaret della capitale, radendo al suolo i teatri ed incarcerando o uccidendo gli artisti. Calerà dunque il sipario del kabaret, per alzare quello di un teatro assai più tragico, e purtroppo reale; ma finché si potrà restare in questo ambiente, la tragica illusione si spegnerà per ultima.