Un silenzio quasi rituale accompagna Gianfranco Jannuzzo durante la spiegazione delle “tre corde che abbiamo nella testa” (la seria, la civile, la pazza), nella versione del pirandelliano Berretto a sonagli, diretta da Francesco Bellomo.
L’attore agrigentino, con l’immutata eleganza e la presenza scenica che lo contraddistinguono, ha nuovamente colto nel segno, passando dalle brillanti interpretazioni cui ha abituato il suo pubblico, a un ruolo agrodolce, affrontato con dedizione e una certa scaltrezza: Ciampa, un mite sottoposto, un marito capace di dividere la propria moglie con il suo capo, pur di non perderla, poiché molto innamorato; ma soprattutto un uomo che, attraverso una logica rigorosa e inattaccabile, ribalta la situazione, riuscendo comunque a mantenere intatto il proprio onore.
Maschere e ipocrisia sociale
La regia punta a una caratterizzazione precisa (e conclamata) dei personaggi: Emanuela Muni è una Beatrice rancorosa (ai limiti dell’isteria) e consapevolmente alla ricerca di una rivalsa che, nei suoi confronti, produrrà un effetto-boomerang; Gaetano Aronica sfoggia per il suo Fifì l’efficace maschera dello scansafatiche spendaccione, con una punta di simpatico maschilismo e una calibrata capacità di conquistare il proprio spazio scenico; Franco Mirabella rende il suo Commissario Spanò una macchietta da manuale, un’interpretazione realisticamente molto apprezzata dal pubblico.
Per tutto il primo atto lo spettacolo risulta scorrevole, anche se, quando Jannuzzo non è sul palcoscenico, il ritmo della pièce sembra risentirne; le cose cambiano nel secondo atto, con l’ingresso in scena di Anna Malvica, nel ruolo della “matriarca” signora Assunta: è davvero un peccato siano poche le scene che quest’ultima e il protagonista hanno in comune sul palcoscenico, perché entrambi rappresentano un perfetto concentrato di quell’umorismo agrodolce di quella Sicilia (o meglio, dell’Italia intera) descritta da Pirandello: una terra in cui tradizioni e convenzioni si confondono, generando ipocrisia sociale.
Dal copione al palcoscenico
Il recupero di alcune scene tagliate dal copione originale consente di scandagliare meglio alcuni particolari che inducono alla riflessione; ad esempio, quando Fifì accusa la sorella Beatrice di una sorta di “ambiguità sessuale”, che secondo lui sarebbe la causa delle scappatelle del marito con altre donne; o, all’inizio del secondo atto, la scena dello scorpione nella biancheria, concepito come segno dell’effettivo tradimento.
Il regista ha deciso, inoltre, di inserire un flashback all’inizio dello spettacolo, nel quale gli amanti clandestini (il Cavalier Fiorica e Nina, moglie di Ciampa) vengono colti in flagranza di reato e arrestati. Circostanza che terrà banco, con effetti comici assicurati, per gran parte del secondo atto.
La colonna sonora rimanda a sonorità forti e cariche di mistero che hanno caratterizzato la produzione cinematografica siciliana nel secondo dopoguerra.
La scenografia di Carmelo Giammello, caratterizzata da pareti scure e cupe, con tutte le finestre coperte da drappi neri, diventa metafora dell’assenza di rapporto con oggetti e persone.