In 30 anni di attività i Marcido Marcidorjs ci hanno abituato ad ogni forma di sperimentazione bastata sull'impatto. Che sia vocale o visivo, è di sicuro qualcosa che domina ogni loro produzione.
In questo Bersaglio su Molly Bloom si intuisce la difficoltà del testo su cui lavorare: il capitolo finale dell'opera di Joyce riassume uno spiraglio della mente della protagonista femminile del libro con lucido delirio.
Nessun segno di interpunzione ad aiutare l'interpretazione dello stesso che viene lasciata completamente agli attori.
Gli appassionati dei Marcido sanno quanto la coompagnia sia avvezza a testi difficili (si ricordi "Ma bisogna che il discorso si faccia" tratto da l'Innominabile di Samuel Beckett); sanno anche quanto questa scelta non sia sofferta ma voluta, forse per lavorare sulla complessità del linguaggio con equivalente complessità nell'esposizione.
Sul piano fisico gli attori sono bloccati nella splendida scenografia di Daniela Dal Cin chiamata "La grande conchiglia": sono possibili solo piccoli movimenti del capo e degli arti superiori. La voce risulta essere uno strumento potente e affascinante e può essere contorta, alzata e modificata.
Sembrano tutti tasti di un pianoforte pronti ad esserre gestiti da un direttore d'orchestra, cosa che avviene grazie al controllo del regista Marco Isidori, presente in scena (sarebbe meglio dire sotto la scena), che con bacchetta da direttore d'orchestra dirige i suoi strumenti preferiti, gli attori.
Come un fonico durante un missaggio, Isidori dirige i suoi attori creando bizzarre stereofonie al quale l'ascoltatore non è avvezzo, ma non può non rimanerne affascinato.
Loro, uniti nella performance e con la direzione dell'autore egista si rendono strumenti di quel caos calmo che è il testo di Joyce; lo impattano in faccia allo spettatore che, per la maggior parte, rimane affascinato dall'armonia creata più che dal testo stesso.
Un piazzato bianco illumina il carosello di attori che, di fatto, scandiscono il ritmo dell'esibizione andando a creare un qualcosa di nuovo.
Affascinante come una tigre, ma altrettanto impossibile da domare.