BLACK TIE

L'ossessione per la propria origine.

L'ossessione per la propria origine.

 Sulla scena scarna, tra due postazioni col microfono e una con il leggio, Miriam Yung Min Stein presenta l'altro performer in scena del collettivo Rimini Protokoll, Stefan Kaegi in arte Ludwig che si occupa della parte sonora dello spettacolo, e, promettendo di parlare in inglese più lentamente della performance precedente, che i soprattitoli non ce la fanno a  starle dietro, comincia il suo racconto.
Un racconto che la vede protagonista, come bambina sudcoreana adottata ancora in fasce da una famiglia tedesca. Il racconto parte dalla mappatura del genoma umano, il suo, che tappezza l'impiantito rialzato del palco sul quale lei e Ludwig stanno. Da questa coordinata biologica, che esprime anche graficamente l'unicità di ogni essere umano  e dunque anche la sua (e Miriam ci tiene oltre a indicare il gene che causa la sua allergia al  lattosio a specificare che solo l'1% la differenzia da Ludwig, o da un  primate). Una unicità le cui origini sono perse in un racconto mitico (è stata trovata a Seul, avvolta in carta di giornale) la cui descrizione si esprime in una vocazione classificatoria (l'elencazione degli articoli e delle pubblicità contenute nel giornale nel quale è stata avvolta) sorretta da un uso informatico (il guanto che le serve per pilotare il pc nel mostrare le immagini scannerizzate delle pagine del giornale) che diventa parte integrante della performance. Una performance che, nel suo dipanarsi, pur seguendo sempre la storia e le vicissitudini di Miriam (tra foto d'infanzia,  documenti dell'adozione e diari dei suoi genitori nei quali viene registrata la sua dipendenza materna, immagini e documenti di volta in volta mossi tramite il guanto informatico, scannerizzati dal vivo o trascritti al pc, e sempre videoproiettore su grande schermo) è anche resoconto storico, delle vicissitudini che hanno portato la Corea a dividersi in due stati diversi, della storia delle adozioni internazionali (che per Miriam fanno schifo perchè sono solo uno strumento per l'ego dei genitori adottivi di sentirsi bravi cittadini), dei video postati su internet di questi bimbi adottati, che Miriam indica sardonicamente come merce.
In uno dei momenti più intensi e veri dello spettacolo, quando racconta del suo viaggio fatto in Corea per ritrovare le sue origini, quel buco nero sul quale vuol fare luce (ricordato dall'ambivalente titolo inglese dello spettacolo Black Tie può essere tradotto sia come cravatta nera e che legame nero) Miriam commenta di come si è specchiata nei finestrini della metro a Seul e si è percepita per la prima volta uguale agli altri, tanto da non sapere quale dei volti riflessi fosse il suo, mentre, di solito, in Germania, il suo volto, così diverso da quello degli altri, emergeva in tutta la sua alterità da risultare straniero anche a se stessa.
A Seul grazie all'intervento di una ragazza del posto, rappresentata sul palco da Hye-Jin Choi, che le fa da doppio e le racconta alcuni fatti demografici (in sud Corea oggi ci sono più uomini che donne visto che erano soprattutto le bambine ad esser date in adozione) e culturali (un programma televisivo nel quale ragazze coreane adottate negli anni settanta ritrovano in diretta i propri genitori naturali) della Corea, Miriam scopre di non essere stata trovata avvolta dai giornali, quelle circostanze sono quelle dette a tutte le bambine adottate, e che i documenti sui suoi genitori biologici sono andati persi in un incendio. Così, tornata a casa, in Germania, invia un campione del suo dna a due diverse società che si trovano su internet che le restituiscono una mappatura estesa dei suoi geni sulle quali ci intrattiene, concludendo la performance così come è iniziata.
Black Tie è uno squisito ibrido tra spettacolo teatrale propriamente detto, l'istallazione artistica, e il reportage. Uno spettacolo interessante del collettivo berlinese Rimini Protokoll, composto da Stefan Kaegi,  Helgard Haug e Daniel Wetzel che presenta un suo lavoro a Roma per la prima volta, proprio  negli stessi giorni in cui alla Compagnia, ospite con alla Biennale di  Venezia  verrà assegnato il Leone d’argento per le NuoveRealtà Teatrali.
Una occasione più unica che rara, almeno per il pubblico romano, di vedere cosa si fa all'estero  della quale bisogna ringraziare i Festival Wiener Festwochen,  Lókal International Theater Festival – Reykjavik;  Bregenzer Festspiele Bregenz, PAZZ Festival  Oldenburg; Huis en Festival ad Werf  Utrecht; VIE Scena Contemporanea Modena, National School of Drama Theater Festival New Delhi che lo hanno scelto, oltre naturalmente all'associazione Cadmo che lo ha scelto per questa edizione de Le vie dei Festival.

Visto il 14-10-2011
al India - sala A di Roma (RM)