Bologna, teatro Comunale, “Boris Godunov” di Modest Mosorgskij
LA PLEBE IGNORANTE E' MOLTO FACILE DA SOBILLARE
Musorgskij scrisse Boris Godunov nel 1869 ma i teatri imperiali russi lo rifiutarono perchè mancante di una protagonista femminile, tanto che il compositore ne modificò l'impianto, aggiungendovi un intero atto, quello chiamato “polacco”, ed il personaggio di Marina (una leggenda dice che in Italia avrebbe dovuto interpretarlo anni fa Milva). Così l'opera andò in scena nel 1874 e fu un grande successo, ma, nonostante ciò, fu oggetto di numerose revisioni ed orchestrazioni, la più eseguita delle quali è a tutt'oggi quella di Rimskij-Korsakov (al San Carlo di Napoli nel gennaio 1970). Solo negli ultimi anni si è tornati agli originali, nonostante Gianandrea Gavazzeni ne sosteneva la necessità già negli anni Trenta. Ma, in qualunque veste, è indubbio che il Boris Godunov è una delle partiture capitali del teatro musicale di tutti i tempi. Secondo Aaron Copland è una delle tre opere riconosciute come pietre miliari nello sviluppo della musica moderna (insieme a “Pelléas et Mélisande” di Debussy e “Le sacre du printemps” di Stravinskij).
A Bologna è giunta per la prima volta la versione originale, nota come Ur-Boris, nello splendido allestimento dal fortissimo impatto visivo del Teatro Nacional de Sao Carlos di Lisbona. La rigorosa regia di Toni Servillo è caratterizzata da una monumentale scenografia, che punta su un impianto iconostatico, come se le figure che animano la storia fossero i personaggi di un grande polittico, icone che si muovono dando corso al racconto, posizionate sui diversi piani in cui è dislocata la scena, a rappresentare simbolicamente una costellazione del potere, con al centro Boris, in alto la Duma e i principi bojari, in basso il popolo. I tre registri di un polittico, con l'azione che si svolge negli scomparti. Al centro si apre uno spazio profondo in prospettiva, illuminato da un bagliore accecante di bianco oppure di oro, lo spazio ieratico di Boris, non velato dal tulle che invece ammanta tutto il resto di una soffusa atmosfera.
Il tema dominante è quello dell'uomo che raggiunge il massimo del potere politico, ma è schiacciato dal peso della stessa politica e del rimorso, essendo arrivato al vertice con un omicidio, uno straordinario percorso interiore: Boris è in continuo rapporto con il senso di colpa e consente un'alta riflessione sul potere politico, sul senso contraddittorio del potere. Estremamente moderno, nella distanza delle istanze della politica da quelle del tessuto sociale. Inquietante (per l'agghiacciante attualità) è il convincimento che Shujskij esprime a Boris “La plebe ignorante è molto facile da sobillare”.
Il personaggio chiave è lo jurodivyj, il “folle in Cristo”, il veggente che legge la storia non secondo la cronologia (come il monaco Pimen) ma attraverso illuminazioni e profezie, che suonano come denunce. Un fool shakespeariano, diretta espressione del sentimento popolare e per questo in proscenio insieme ai bambini, personaggi che vivono al di fuori della consapevolezza della Storia come processo politico e sociale.
Il nucleo fondante dell'Ur-Boris è una drammaturgia impostata in sette scene fulminanti, che toglie il respiro, molto asciutta e per questo altamente drammatica, serrata, ruvida, potente, come la solitudine del protagonista. Così è la partecipata lettura musicale che ne dà il maestro Gatti, drammatica ed essenziale, tagliente e ruvida, ma capace di improvvisa dolcezza, a cominciare da quello struggente, indimenticabile inizio, affidato a un fagotto solitario a cui si aggiungono i lamentosi violoncelli, lunghe arcate vibranti a dare da subito la tinta dell'opera, cupa e solenne, intrisa di profonda religiosità. Peccato che il alcuni momenti la musica tendeva a soverchiare le voci. Peccato che con questa opera il talentuoso Daniele Gatti lascia Bologna.
La regia di Toni Servillo è profondamente rispettosa della musica, legata indissolubilmente al testo, e il russo è una lingua così musicale.. Servillo è uno dei più grandi registi di prosa di oggi (memorabili “Tartufo”, il pluripremiato “Sabato, domenica e lunedì”, “Le false confidenze” ancora in turnè con lo stesso Servillo, Anna Bonaiuto, Andrea Renzi e uno stuolo di bravissimi comprimari), conosce alla perfezione i meccanismi teatrali ed ha l'intelligenza di applicarli alla lirica, che ha tempi diversi, adattandoli alla perfezione. Una regia che si fonde mirabilmente con la partitura, e che, secondo la consueta cifra stilistica di Servillo, si basa su gesti appena accennati, su un dito inanellato che si alza, su mani che si incrociano davanti al petto ppure si aprono lentissimamente, su movimenti impercettibili di sopracciglia, su sguardi carichi di significato, un lavoro curatissimo dei dettagli che assumono significati ulteriori, denotando alla perfezione l'interiorità dei personaggi. Da augurarsi che Toni Servillo sia spesso chiamato alla regia lirica.
L'indimenticabile scenografia, che da sola è uno spettacolo nello spettacolo, un'emozione incancellabile, è dello stesso Servillo e di Daniele Spisa. I costumi, sontuosi e perfetti, sono di Ortensia De Francesco; le luci caravaggesche (danno una patina giallastra agli scomparti del polittico,come le tavole dei dipinti medioevali, mentre accecano nel bianco splendente del riquadro centrale) sono di Pasquale Mari; regista collaboratore è Marinella Anaclerio. Il coro, in pratica protagonista (seppur con caratteri diversi, quasi opposti rispetto a Pushkin), è stato ottimamente preparato da Paolo Vero, le voci bianche da Silvia Rossi.
Boris è un superbo Vladimir Vaneev; con lui Lucia Cirillo (Fedor), Elena Monti (Ksenija), Maxim Paster (Shujskij), Valerij Ivanov (Shelkalov), Dmitij Ageev (Pimen), Vsevolod Grivnov (Grigorij), Alexander Meliga (Varlaam), Viktor Vikhrov (Misail), Juri Batukov (Nikitic), Barbara di Castri (ostessa), Debora Veronesi (nutrice), Luca Visani (bojaro), Cristiano Cremonini (Jurodivyj, applauditissimo), Roberto Tagliavini (Mitiuch).
Da registrare un'inaspettata, felice novità: anche il Comunale di Bologna ha cominciato a stampare gli utilissimi programmi di sala; nella copertina del primo, questo appunto del Boris, campeggia un cipollotto di Tropea, forse perchè i supplicanti di Puskin usavano le cipolle per piangere, sostituite in Musorgskij da persuasive scudisciate. Oppure un vago accenno alle cupole delle Russie. Un'immagine comunque accattivante.
Visto a Bologna, teatro Comunale, il 27 febbraio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Verdi
di Pordenone
(PN)