La società attuale, del tutto organizzata e puntualmente incardinata sull’esasperata architettura visuale di ogni gesto, sulla gradevolezza del sembiante, quale misura incandescente di ogni filo a piombo, svuotando il quotidiano di ogni apporto sostanziale, del vero e primigenio nutrimento delle cose, si è trasformata, servendosi di anfiboli strumenti catodici e di massa, in un’enorme ed ubiquitaria vetrina sulla vita, come la struttura che, disegnata con arguzia dal bravo Roberto Crea, è corridoio di relazioni e compromessi, luogo da cui l’immagine si impone e si riflette, gabbia per idoli senza identità, esseri per cui l’alienazione non è più solo astratto concetto di critica marxista, ma la concreta estraneità del proprio essere umani, l’esibizione triste e desolata del desiderio che gira su stesso.
“Brutto” ci offre, dunque, un simpatico affresco epocal-esistenziale della nostra società, generazione risucchiata nella rete luminosa del sembrare, affetta da un’irreversibile distorsione percettiva, quella secondo cui la nostra immagine si correda di senso e di coscienza solo nella sua interminabile tensione ad apparire; in tale prospettiva i personaggi, tipi umani del tutto soffocati dal vacuo attivismo e dall’idolatria del bello, sono solo qualche spanna più in là dei nostri quotidiani compagni di schiavitù, perciò appena un po’ più schiavi di questo assurdo paganesimo performativo, di questa degenerazione da “personality market” che ci svuota di quel che siamo per uniformarci al modello imposto dal bieco opportunismo dello Scheffler di turno - un perfetto Alfonso Postiglione.
In realtà, urge davvero sottolineare che quel che rende questa messinscena un’operazione preziosa ed imperdibile, è proprio la bravura assoluta degli interpreti dacché, diretti con la solita cura e la solita sensibilità artistica dall’ottimo Carlo Cerciello, riescono ad imprimere ritmo, carattere e grinta ad un testo che, sebbene strappi più di una risata e qualche amara considerazione, nel complesso vive, appassiona e trascina solo in virtù dell’impareggiabile ed ipnotico funambolismo attoriale di Roberto Azzurro e Paolo Coletta (grande ed attesissimo ritorno di una coppia storica del teatro italiano!) e dell’evidente bravura di Monica Nappo che passa, con un’agilità non comune, dal ruolo della moglie a quello dell’amante ninfomane, confermando il suo talento e la sua riconosciuta vocazione a ricoprire con grande entusiasmo ed energia ruoli comici e grotteschi.
Visto il
20-03-2010
al
Nuovo
di Napoli
(NA)