Saverio Marconi dirige per la terza volta nella sua carriera Cabaret, uno spettacolo a cui tiene molto, che, dopo il successo del debutto estivo al Todi Festival, arriva finalmente al Teatro della Luna di Milano, con orchestra dal vivo.
Un allestimento innovativo e “decadente”, a partire dalla scenografia (a vista), firmata a quattro mani dallo stesso regista con Gabriele Moreschi: una pedana, un sipario che scivola inesorabilmente verso il basso (come venisse strappato), svelando una realtà (in questo caso quella del backstage), di cui spesso è più comodo non accorgersi. E l’insegna luminosa del Cabaret che “cade di lato”, perdendo quasi completamente la sua luminosità, sulle prime note di Wilkommen.
Ad aprire le porte del Kit Kat Klub al pubblico è Giampiero Ingrassia, un Maestro delle Cerimonie, dalle mille sfaccettature, ma soprattutto una maschera d’inquietudine (con un trucco che rimanda ad altre celebri “maschere” quali Joker, il Corvo e Gene Simmons, il leader dei Kiss).
Abile nel rimanere un osservatore esterno – e disincantato - di quello che succede sulla scena, Ingrassia regala al pubblico alcuni momenti di particolare intensità, come ad esempio l’interpretazione di I don’t care much/Non importa (in cui sembra quasi di cogliere certe sfumature alla Luigi Tenco, n.d.r.).
Giulia Ottonello, fragile ed esuberante Sally Bowles, è la giovanissima stella del club berlinese. Convincente nella recitazione, fin dalle prime battute, raggiunge il proprio apice interpretativo con la toccante esecuzione di Maybe this time/Questa volta, seguita poco dopo, dall’intensissimo commiato con La vita è un cabaret, manifesto consapevole di chi vive la realtà alla giornata, senza preoccuparsi troppo di quello che gli succede intorno, né di poter cambiare le cose.
Altro momento toccante è la chiusura del primo atto, con Valentina Gullace e Alessandro Di Giulio (entrambi molto convincenti nei rispettivi ruoli di Fräulein Kost ed Ernst Ludwig), che insieme a tutta la Compagnia intonano Il domani appartiene a me, una canzone a sfondo patriottico, la quale inesorabilmente si trasforma in un non troppo celato inno al nazismo nascente.
La coppia formata da Altea Russo e Michele Renzullo (Fräulein Schneider e Herr Schultz) rappresentano in maniera piuttosto verosimile il sacrificio e la rinuncia al diritto all’amore che un grande, inesorabile cambiamento comporta.
Attorno a tutti questi personaggi si trova a gravitare il giovane e idealista romanziere americano Cliff Bradshaw, un'altra sfida interpretativa per Mauro Simone, che si cala nel personaggio con candido realismo, ma anche appropriata determinazione.
Le coreografie di Gillian Bruce sono forse l’elemento più frizzante e spensierato di un allestimento innovativo e di qualità, ma che questa volta mette meno in risalto la contrapposizione tra l’effimero della vita come vorremmo che fosse e la cruda realtà di un mondo che – oggi come nella Berlino degli anni Trenta – continua a essere sull’orlo del baratro. Ecco perché neanche quell’Auf Wiedersehen, pronunciato sul finale dal Maestro delle Cerimonie, suona come una speranza…
Repliche a Milano fino al 22 novembre e poi in tour in Italia fino al mese di aprile.
Musical e varietà
CABARET - NUOVA EDIZIONE
Cabaret: non c'è due senza tre
Visto il
12-11-2015
al
Repower
di Assago
(MI)