Spogliarsi per una buona causa. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Tante quante quelle in cui abbiamo creduto ai “nudi artistici” che, con tale premessa, non dovrebbero quindi presentare niente di volgare. Un rischio, quest’ultimo, che solitamente si corre e che, non di rado, diventa concreta realtà. Era quello che pure poteva accadere in “Calendar Girls”, trasposizione teatrale dell’omonimo film del 2003 diretto da Nigel Core, dove però non c’è traccia di showgirl, pin-up o veline da copertina. Che poi le sei donne protagoniste possano avere lo stesso, se non più fascino, di certe donzelle patinate e photoshoppate è una circostanza plausibile, estremamente reale seppur ignorata da certi (tanti) sguardi superficiali.
“Propongo non il calendario dell’associazione femminile con vedute panoramiche, ma un nuovo calendario con vedute panoramiche sull’associazione femminile”. Commenta sardonicamente Chris, una delle sei “dame di carità” del Women’s institute, anticonformista e irriverente, interpretata da Angela Finocchiaro che fa da traino al gruppo di protagoniste del calendario sexy, pensato per fare cassa e comprare il divano della sala d’attesa per i parenti dei pazienti e sul quale l’amica Annie - una Laura Curino che da “forma” ad un personaggio non completamente comico, ma nemmeno totalmente drammatico - ha trascorso molto tempo, accudendo il marito malato di leucemia. Attorno a loro altre quattro donne, ognuna con le proprie peculiarità caratteriali, esperienze e aspettative, ma tutte accumunate da un forte senso dell’amicizia - quella rara forma di collaborazione, sempre più latitante tra appartenenti al genere femminile - e dall’idea di raggiungere un obiettivo comune, importante per quanto difficile da perseguire con metodi ‘tradizionali’.
Diviso in due tempi, lo spettacolo segue un ritmo altalenante, con pochi picchi ma alcuni passaggi molto divertenti, se considerati nel complesso. Inutile dire che la scena clou, madre di ogni altro momento comico, è quella in cui dopo diversi giri di vodka le attempate signore si “immolano” per la causa: in modo garbato e non ostentato, riconosciamo solo alcuni dettagli epidermici delle protagoniste, le quali ricorrono a vari escamotage e oggetti “scenici” per mostrarsi senza veli quel tanto che basta. Senza mai dimenticare di rappresentare il tutto con la giusta dose di ironia, tale da rendere i rispettivi personaggi ancor più accattivanti di quanto non siano già. A tal proposito, una menzione speciale va ad Ariella Reggio, giovane (quasi) ottantenne, che si muove spigliata e spumeggiante tenendo testa alle colleghe di palco, dimostrando una presenza scenica ancora molto forte e una padronanza della situazione notevole. Considerate in gruppo, le sei protagoniste appaiono vivaci ed effervescenti come una pastiglia che frizza in un bicchiere d’acqua, generando bollicine e briosità tutto attorno. Ma vivacità non fa rima con superficialità: una storia che parte da una vicenda realmente accaduta e che mira a raccontare in modo lieve ma serio le difficoltà che una malattia grave comporta, sviluppando la capacità, che è anche necessità, di reagire in modo resiliente alle avversità, aggrappandosi agli altri, sulla base di relazioni vere e non di mera e materiale convenienza.