Candide di Leonard Bernstein, tratto dall’omonimo racconto filosofico di Voltaire, ha subìto, a partire dalla sua creazione nel 1956, innumerevoli revisioni della scrittura musicale e del libretto prima di approdare a una versione definitiva andata in scena alla Scottish Opera nel 1989, diretta dallo stesso compositore poco prima della morte. La composizione eclettica sfugge a una precisa definizione di genere: inizialmente concepita come operetta, divenuta poi commedia musicale e infine opera lirica, passa da uno stile all’altro con il gusto della citazione e della parodia propria di Bernstein (dal jazz al musical, dal canone liturgico al lirismo puro) con un’inventiva travolgente che riflette sul piano musicale la struttura picaresca del racconto originale.
La nuova produzione in scena all’Opera di Firenze con regia di Francesco Micheli e scene di Federica Parolini ambienta la vicenda, che tocca spazi e tempi molto diversi, in un’efficiente fabbrica tedesca, ovvero il “migliore dei mondi possibili”, che produce modelli umani in grado di soddisfare ogni esigenza. La fabbrica, iperproduttiva ai limiti della farsa, traduce la satira antiteutonica dello stesso Bernstein (ravvisabile nelle parodie dei corali luterani), i personaggi vengono portati in scena su macchine sceniche fatte da muletti o casse su ruote, Cunegonda, Paquette e Maximilian sono i prodotti di punta custoditi in imballaggi/tabernacoli e i cattivi, anziché la maschera, hanno in testa uno scatolone con tanto di codice a barre. La scena illuminata da file di luci al neon è vuota e sono casse e scatoloni, diversamente impilati dalle maestranze in tutta blu in continuo movimento, a suggerire la sagoma di una nave, la skyline di una città, il crollo degli edifici per il terremoto di Lisbona. Come in un caleidoscopio, la scena si fa e si disfa con pochi mezzi e notevole inventiva e rappresenta con efficacia il continuo mutar di situazioni della picaresca vicenda. I contenuti filosofici non sono approfonditi, ma di trovate ce ne sono tante e il ritmo è quello giusto: diverte Cunegonda che si arrampica in una gabbia di ferro a forma di sottogonna impegnata in virtuosismi vocali da canarino, come pure l’Eldorado, un armadio che si apre per mostrare un negozio simil-Apple luminoso con l’icona di un ananas sbocconcellata. Come si conviene a un musical coreografie (di Alfonso Cayetano), costumi (di Daniela Cernigliaro) e travestimenti hanno un ruolo importante: Cacambo è qui un trans vestito di fucsia tutto piume e frou frou, gli operai abbassano le tute blu per svelare vistosi reggiseni e i re detronizzati incedono sotto il peso di gigantesche maschere di cartapesta.
Per sua natura Candide si presta in sede di esecuzione a una notevole libertà interpretativa che consente tagli o aggiunta di gags in base all’impostazione registica e musicale. Nella produzione ha marcato rilievo la presenza di una voce narrante (amplificata) affidata a una donna delle pulizie che si muove sulla scena sui pattini a rotelle, alter ego di Voltaire, che commenta con ironia la vicenda, stabilendo dei collegamenti fra scene e situazioni. La voce recitante è stata interpretata da Lella Costa che ha declamato il testo in inglese e francese con la stessa disinvoltura dimostrata sui pattini.
Ci è piaciuto il Candide delicato e lirico di Keith Jameson: la voce non è immensa ma il canto è garbato e sensibile e si addice all’unico personaggio positivo e puro dell’opera. Della Cunegonda di Laura Claycomb si apprezzano soprattutto le doti sceniche e attoriali da soubrette consumata, mentre la voce risulta sottodimensionata e le agilità non sono spettacolari come potrebbero. La produzione si è avvalsa di due vecchie glorie del teatro musicale: Anja Silja è una old lady carismatica che catalizza l’attenzione e le disomogeneità di emissione sono sfruttate con intelligenza a fini parodistici; un plauso a Chris Merritt, apparso in gran forma vocale, che ha saputo tratteggiare un governatore sgradevole e incisivo. Decisamente divertente il Cacambo drag queen di Gianluca di Lauro e il Maximilian bambolotto vanaglorioso di Gary Griffiths. Scenicamente disinvolti, ma di limitato peso vocale, il Pangloss di Richard Suart e la Paquette di Jessica Renfro. Concludono adeguatamente il cast i cinque Re detronizzati:Timothy Martin, Luca Casalin, Hector Guedes, Christopher Turner e Alessandro Calamai. Christopher Lemmings è Ragotski.
John Axelrod imprime impeto e vigore ma la sua direzione manca di leggerezza e precisione e non vengono pienamente finalizzate le finezze di una partitura che gioca con il pastiche e la parodia. Buona la prova del coro del Maggio Musicale diretto da Lorenzo Fratini.
Applausi calorosi per tutti da parte di un pubblico decisamente divertito.