Spoleto, Chiostro di San Nicolò, “Canti dall'inferno – il mare dentro il dolore”, di Ramòn Sampedro e altri
NELLA VITA NON SI PUO' MAI TORNARE INDIETRO
Francesco Rapaccioni intervista Davide Livermore
F.RA: Che cos’è “Canti dall’inferno?”
DL: “Canti dall’inferno” è una esplorazione tra parola parlata e parola cantata, è un andare in mezzo a quella strana terra di mezzo che in passati momenti della storia ha portato meravigliose forme teatrali, che si sono consolidate, solidificate, dopo una lunga sperimentazione. Questa vuole essere veramente una esperimentazione. Il fantasma formale che abbiamo alle nostre spalle nel portare avanti questo lavoro è di fatto il madrigale rappresentativo e quindi la seconda pratica monteverdiana, l’armonia a servizio della poesia. In questo caso chiaramente non si fa musica antica, anzi facciamo contemporaneità spinta, come all’epoca Monteverdi era la vera avanguardia, per cui noi cerchiamo di rispettare quel senso di ricerca profondo che c’era in quella irripetibile annata della storia del teatro.
F.RA: Questo dal punto di vista formale. Invece da quello sostanziale? Il caso Welby ha prepotentemente portato alla ribalta il discorso sull’eutanasia: perché Sampedro? Perché oggi?
DL: Quello che ci ha subito impressionato di Ramòn Sampedro è la sua forza poetica e morale, la carica umana e umanistica, post rinascimentale, il mettere l’uomo al centro dell’universo, perché noi ci dobbiamo prendere la responsabilità di noi e del nostro futuro, del nostro destino, del nostro dolore e della nostra gioia. Questo non è uno spettacolo sull’eutanasia, non è nato così. Siamo partiti da un nostro presupposto di base, quello di raccontare in teatro il mondo e non in teatro il mondo del teatro, come spesso avviene in Italia, con situazioni un po’ autoreferenziali. Quando abbiamo pensato lo spettacolo non era ancora accaduto il caso Welby, ma sono contento che il desiderio di portare il mondo a teatro sia coinciso con un tema che è presente e pressante, una spina che bisogna in qualche modo capire, un nodo da sciogliere in tutte le sue intricatissime e potentissime sfaccettature.
F.RA: Alcuni momenti dello spettacolo sono in galiziano e in spagnolo, lingue in cui scriveva Ramòn Sampedro: come mai la scelta di lasciarli in lingua originale?
DL: E’ la stessa cosa che mi è successa per “Il ratto dal serraglio” al Regio di Torino, dove se il pubblico si annoiava durante i recitativi in tedesco significava che io non avevo fatto per bene il mio lavoro di regista, non ero riuscito a rendere le parole, a tradurre i suoni. Il potere evocativo del suono è notevole, noi uomini assorbiamo il mondo esterno attraverso gli occhi, le orecchie, la pancia; il visivo nel mondo è aggressivissimo e ciò non vuol dire che l’uditivo non esista più o che sia in un secondo piano, bisogna semplicemente crederci, utilizzare la potenza del suono in senso emozionale, che va oltre la comprensione del senso grammaticale delle cose.
F.RA: Davide Livermore e Valter Malosti, entrambi torinesi, gli unici due per la prosa a Spoleto. Una strana coincidenza?
DL: Credo che Torino sia una città meravigliosa in cui vivere in questo momento. La qualità della vita si è alzata chiaramente nel momento in cui la città ha puntato sulla cultura. Così vengono aiutati tutta una serie di persone e di talenti, talento che, come diceva Schönberg, è la capacità di imparare, cosa poco di moda in questo periodo storico in cui l’apparire televisivo ci istupidisce un po’ tutti.
F.RA: Progetti per il futuro?
DL: Inauguro il festival della Valle d’Itria a Martina Franca con “Achille in Sciro” di Sarro con il meraviglioso libretto di Metastasio; poi dopo vado a Venezia alla Fenice, dove metto in scena una nuova opera scritta quest’anno da Luca Mosca con il libretto di Gigi Melega, “Il Signor Goldoni”; poi porto la mia “Cenerentola”, produzione di Filadelfia, a Montpellier; i “Canti dall’Inferno” saranno al Teatro Stabile di Torino; infine vado a Tokyo con “La gazza ladra” diretta da Alberto Zedda.
Visto a Spoleto, chiostro di San Nicolò, prova generale del 7 luglio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Chiostro San Nicolò
di Spoleto
(PG)