Lirica
CARMEN

Carmen a Novara:di esaustiva essenzialità la regia

Carmen a Novara:di esaustiva essenzialità la regia

La genialità è insita nell'avere qualcosa da dire e nella capacità di dirlo con poco; nelle sapienti mani di Beppe De Tomasi espressione di un Tutto. Un quid capace di fare la differenza e arrivare al pubblico. Vero è che parliamo di un artista che ha lavorato sui più importanti palcoscenici mondiali, ma altrettanto inconfutabile è la difficoltà insita nel confermarsi in ogni occasione all'altezza della propria fama. Quella di Carmen di George Bizet, eseguita al Teatro Coccia di Novara nella versione originale francese, si potrebbe definire un'impostazione registica tradizionale se l'aggettivo non risultasse riduttivo per chi la tradizione operistica ha contribuito a scrivere. Sfrondato ogni orpello, De Tomasi si è avvalso di una scenografia, da lui stesso disegnata, di essenziale linearità, rimasta fissa per ogni quadro, con le collocazioni di luogo demandate ai cambi dei fondali ed a spiritosi cartelli di volta in volta indicanti Siviglia, l'osteria di Lillas Pastia, la Sierra rifugio dei contrabbandieri, infine l'Arena. Tavoli e panche, un praticabile al centro, bei costumi e luci calibrate. Dettagli ricercatamente semplici che l'estrosità del Maestro ha saputo rivestire di precisi significati: drammaturgicamente intelligenti, artisticamente creativi, musicalmente coerenti. Un'ambientazione basata sulla profondità di scansione caratteriale piuttosto che su riferimenti tangibili, cui ha contribuito l'illuminato utilizzo di comparse ed elementi del Corpo di Ballo della Giovane Compagnia Dancehaus, forte delle coreografie di Susanna Beltrami saggiamente interagenti con l'insieme, per tratteggiare la spregiudicatezza delle lavoranti nella fabbrica di tabacco, l'allegria dell'osteria, gli animi aspri come le rocce della montagna, infine il colorato folklore di contorno alla corrida. Nell'ultimo quadro, dinnanzi alla Plaza de toros, era collocata una cappella-cassaforte che racchiudeva l'effige della Madonna, imperturbabile spettatrice all'uccisione di Carmen. Anzi, proprio Lei ha eloquentemente armato la mano di Don Josè con uno degli stiletti che trafiggevano il grande cuore votivo posto sul Suo petto: l'amore trasfigurato in morte ha recato seco la devianza di ogni valore, religioso, morale ed umano. La fredda impassibilità ha parimenti caratterizzato l'indole di Carmen, spogliata della consueta declinazione passionale per essere con correttezza filologica descritta come una cinica giocatrice, usa a beffare i sentimenti dell'innamorato di turno. De Tomasi ha sovente collocato la protagonista in posizione elevata, suggerendo la statuarietà che Tiziana Carraro ha assunto per indulgere ad una sensualità algida, sprezzantemente indifferente alle ragioni del cuore; anche se, almeno nei duetti, avremmo preferito che il suo sguardo avesse incrociato quello di Don Josè anziché rimanere fisso sul direttore. Il mezzosoprano ha puntato sulla vocalità robusta e sulla timbrica ambrata, suadente e umorale. Enrique Ferrer della voce scura e drammatica, garbato nei registri centrali, di grana graffiante negli acuti dall'agevole emissione, ha delineato un Don Josè succube fino all'ultimo della conturbante sigaraia: la ferita mortale all'amata è sembrata essere stata inferta da una proiezione autodistruttiva di Carmen stessa, più che scaturita dalla propria accecante gelosia. A poco più di un mese dall'aver rivestito i panni di un'acclamata Mimì, ha fatto ritorno sulle tavole del Coccia Elena Rossi, splendida Micaela dalle dinamiche morbide stemperate in generosi slanci di potenza. Perfetto contraltare a Carmen, la sua interpretazione dolcissima è nata dal trasporto emotivo, dal sentimento, da un lavoro interiore che ha conferito spessore al canto. Durante i suoi interventi il silenzio era palpabile; il pubblico ha trattenuto il respiro per poi tributarle, meritatamente, le maggiori esternazioni di consenso. Gezim Myshketa dalla timbrica rotondamente asciutta, convincente Escamillo dotato della necessaria baldanza benché declinata con parca disinvoltura. Davide  Rocca, il Dancaire, Marco Voleri, il Remendado, Esther Andaloro, Frasquita e Monica Tagliasacchi, Mercédès hanno eseguito nel secondo quadro un quartetto notevole per unisono e bilanciamento vocale; una menzione speciale al soprano Andaloro, per la padronanza del personaggio che lascia presagire una carriera in ascesa. A completare il cast Veio Torcigliani, Zuniga e Luca Ludovici, Morales. Ha portato onorevolmente a termine il compito particolarmente impegnativo il Coro del Coccia, soprattutto nella componente femminile, sotto la guida di Gianmario Cavallaro. Nulla meno che straordinario il Coro di Voci Bianche dell'Accademia "Langhi" messo a punto da Alberto Veggiotti, al solito preparato tecnicamente e di elevatissima resa sotto il profilo della recitazione. Sul podio dell'Orchestra Filarmonica Italiana, cui perdoniamo qualche minima incertezza di coesione, Valerio Galli che ha saputo tradurre la giovanile irruenza in maturo temperamento. Bei tempi e attenta sinergia col palcoscenico per una direzione dalla spiccata personalità, recante una firma riconoscibile.

Visto il 30-03-2012
al Coccia di Novara (NO)