Fila 11, posto 32: l'ospite al centro dell'inaugurazione dell'Arena opera Festival siede su una poltrona vuota con 32 rose rosse, una per ogni donna uccisa quest'anno da mariti o compagni. È il simbolo del femminicidio e degli accenti che anche Carmen porterà sulla scena.
Nella sua stessa fila, personalità che conferiscono il giusto omaggio alla prima di un Festival che dopo il periodo del commissariamento, si conferma punto di riferimento mondiale per la lirica, dal presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ai ministri Fontana e Bonisoli, e poi ancora parlamentari, il sindaco Sboarina ed altre autorità, in un'Arena dal tutto esaurito.Il primo Festival della Sovrintendenza di Cecilia Gasdia viene da lei stessa aperto con una dedica appassionata al maestro Tullio Serafin, primo Direttore del Festival nel 1913, nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa. Un Grand Opening che non si dimenticherà, oltre che per i significati sociali, anche per l'aspetto artistico.
L'Arena nell'Arena
Abbiam visto Carmen vestite ed ambientate di ogni foggia e in ogni luogo: Hugo de Ana sceglie una modalità tutto sommato non invadente e piena di significati amalgamati e coerenti, riuscendo a unire innovazione concettuale e rispetto per la tradizione.
L'Opera inizia dalla fine, peraltro inventata, con la fucilazione di don José in una Plaza de toros che subito verrà smontata per lasciare il posto ad una scenografia che denota uniformità, con autocarri, macchinari e cavalli che solcano gli anni '30 spagnoli, con il periodo della guerra civile che mette in evidenza l'anelito di indipendenza e libertà della protagonista, pronta ad affrontare la morte ed anzi a sfidarla, eroina in una società maschile e maschilista.
Ma se il primo atto si immerge nell'interpretazione del regista argentino, così come il terzo fra le montagne e i contrabbandieri dietro un'alta grata divisoria, ecco che invece il secondo e soprattutto il quarto atto tornano nel solco della tradizione e lo fanno in maniera perfino esplosiva, dapprima con grandi quadri accattivanti nella taverna di Lillas Pastia a contornare un lungo tavolo su cui esibirsi, infine con artifizi pirotecnici e grande invasione di coriandoli e feste di piazza, nella ricostruita Plaza de toros.
Il loggiato e le frasi ad effetto proiettate sugli spalti posteriori completano spesso le scene, pensate per un utilizzo frequente e partecipe dell'intero arco retrostante il palcoscenico.
Accenti gravi e sensibilità acute
Qualche sorpresa c'è nel personaggio principale: Carmen (Anna Goryachova) propone timbri molto scuri ed accenti aspri, probabilmente forzando sia nell'interpretazione, sia nelle esecuzioni, l'immagine di donna non frivola è più determinata, che vuol essere se stessa e lottare contro una società patriarcale. Tuttavia, e proprio nella Habanera, tutto si scioglie in una versione inusitatamente dolce del canto nato per essere anzi il più ammiccante, tornando poi a gravi magari eccessivi e forse artificiali.
La prova migliore viene offerta dal Don José di Brian Jadge, che si cala nella drammaticità del personaggio e mostra grandi doti attoriali (interessante la forzatura del conflitto con Carmen, molto più acceso della norma nel terzo atto).
Micaela (il soprano Mariangela Sicilia) ha una bella voce, se ne apprezzano le lunghe note sostenute e sofferte, ma le mette in mostra soprattutto nel suo aspetto di personaggio sensibile piuttosto che coraggioso, mentre la voce baritonale dell’Escamillo di Alexander Vinogradov si impone per il forte distacco psicologico e timbrico rispetto alla storia, sottolineandone la sua sostanziale unicità e diremmo estraneità alle passioni che sfoceranno nella tragedia.
Da menzionare il coro della Fondazione Arena diretto da Vito Lombardi e quello di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani, sia per la loro distribuzione fisica sia per le emissioni: entrambi hanno creato onde armoniche ben pensate, e movimenti continuamente omogenei e coerenti, integrati e protagonisti a sé, sebbene talvolta poco leggibili nella loro appartenenza alla storia.
La buona direzione di un Francesco Ivan Ciampa, maestro dal gesto sinfonico, mantiene infine lo stile registico, interpretando la diversità con senso del ritmo e padronanza, pur senza chiarificare bene le sezioni strumentali, aspetto che non esalta le differenze della scrittura fra le pagine gravi e quelle leggere.