Una piattaforma circolare dai colori terragni, i colori di una terra arida, riarsa, polverosa, mediterranea, sulla quale si succedono pochi elementi scenici così da simboleggiare, riducendole all’osso, le diverse ambientazioni richieste dal libretto: ecco in estrema sintesi l’essenza di questa Carmen, pensata nel 2008 per l’Opernhaus di Zurigo e in questi giorni in scena al Regio di Torino, per la regia di Matthias Hartmann. Una porta sormontata da una insegna al neon rappresentante un sigaro, un ombrellone bianco e un cane accoccolato in proscenio per il primo atto; luce arancione, tavoli, sedie, un palo della luce, una tv accesa su una partita di calcio e una fila di lucine chez Lillas Pastia; una enorme luna e piccole sagome di montagne per il terzo atto; luce accecante e un grosso albero di ulivo per il quarto. L’allestimento nel complesso risulta fin troppo scarno e presenta, invero, qualche staticità, soprattutto nelle scene di massa; l’effetto straniante, dovuto alla rappresentazione di un non luogo, risulta voluto; il regista, infatti, in una intervista dichiara chiaramente: “Il cliché della Spagna esiste realmente solo nelle cartoline. Carmen può semplicemente essere messa in scena ovunque, sotto il sole del sud”.
Direzione piena di vivacità e dinamicità per Asher Fisch al comando dell’Orchestra del Regio di Torino; la sua bacchetta insiste molto, in accordo con la regia, sulla sensualità del tessuto musicale, arricchendolo di una levità dai tratti inquieti. I tempi generalmente serrati contribuiscono a evidenziare quel senso di ineluttabilità che diviene sempre più presente nella partitura man mano che l’opera avanza.
Veronica Simeoni è una Carmen sanguigna e seducente, più femmina diabolica e manipolatrice che donna assetata di quella libertà negata al genere cui appartiene: la linea di canto è pulita, la voce, solidissima in acuto, si fregia di piacevolissime venature vellutate nei centri che si rivelano corposi e ottimamente strutturati. Al suo fianco Roberto Aronica tratteggia un Don José inquieto che prova quasi fastidio per la presenza di Micaëla, un Don José che è dilaniato fra una passione rovente e il proprio senso del dovere: lo strumento è più che sonoro, il cipiglio autorevole, gli acuti saldi, anche se a tratti si riscontrano leggeri cali nei passaggi di registro. Ottima proiezione, fraseggio curato e buona sensibilità interpretativa per la Micaëla di Mariangela Sicilia. Tecnica solida, linea vocale precisa, ma qualche freddezza interpretativa di troppo per l’Escamillo di Luca Grassi, un personaggio che dovrebbe fare della seduzione la propria bandiera. Adeguato il resto del cast: Anna Maria Sarra (Frasquita), Lorena Scarlata Rizzo (Mercédès), Paolo Maria Orecchia (Il Dancaïre), Luca Casalin (Il Remendado), Emilio Marcucci (Moralès), Luca Tittoto (Zuniga), Sax Nicosia (Lillas Pastia). Molto buona la prova del Coro del Teatro Regio che ha brillato per compattezza vocale. Una menzione particolare va alle voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” che hanno dato straordinaria prova di sé.