Lirica
CARMEN

UMILIATI E OFFESI

UMILIATI E OFFESI

Il mondo di Carmen è un mondo di umiliati e offesi. Un mondo di violenza, soprusi, prevaricazione e sopraffazione, dove chi esercita il potere lo fa a danno dei deboli e dei sottoposti. Non c'è la Spagna da cartolina, non c'è folklore, non c'è nulla di quanto ci si aspetti secondo la tradizione. Calixto Bieito entra nelle pieghe della musica e del libretto, li mantiene spostandoli ai giorni nostri e dunque aggiornandoli con coraggio e forte emozionalità. Siamo in Spagna, ma direi non nella penisola iberica, bensì nelle enclavi marocchine: un mondo di militari, operaie, bambini affamati e mendicanti. Un mondo contemporaneo (ma cristallizzato) dove il forte prevarica il debole e dove gli istinti sessuali vengono esibiti e soddisfatti con immediatezza e carnale sfacciataggine. Un mondo in cui la dicotomia non è amore/morte ma istinto/violenza, destino inevitabile/libertà.

Lo spazio scenico pensato da Alfons Flores è uno spazio vuoto: nel primo atto una cabina telefonica in proscenio e un'asta per la bandiera nazionale, nel secondo una macchina scassata, nel terzo le vecchie macchine sono cinque a dare l'idea del bivacco dei contrabbandieri, nel quarto vuoto totale; il fondo scena è un telo curvilineo alzato dal palco a dare l'idea di un buio che inghiotte. Uno spazio che non vuole essere irreale ma che neppure è reale in senso stretto: i cespugli sono solo evocati con ombreggianti proiezioni e il vento, all'improvviso, è feroce come gli uomini, sferzando la bandiera. I costumi di Mercè Paloma confermano l'ambientazione contemporanea, conferendole grande incisività. Fondamentali le luci di Alberto Rodriguez Vega, capaci di dare respiro e carattere al buio, di creare con tagli laterali oppure fari dal fondo suggestioni a una scenografia reale ma che pare da incubo: un mondo in cui giorno e notte, interno ed esterno di fondono e si confondono. Diverse scene sono tagliate o accorciate in modo funzionale alla regia e per mettere al centro di tutto Carmen e Don Josè, sfoltendo il contorno. Così lo spettacolo scorre via veloce e carico di tensione emotiva, incatenando lo spettatore alla poltrona.

Calixto Bieito, vincitore con questo spettacolo del premio Abbiati per la miglior regia lirica dell'anno, conferma il suo immaginifico talento, non forzando fino agli estremi come in altre sue produzioni. All'aprirsi del sipario Lillas Pastia, urbiaco, gioca con un fazzoletto rosso come fosse un mago e muovendolo come una muleta. Da subito è evidente che non è storia di amore e morte, ma di sesso e violenza: temi che sono nel libretto e nella musica ma che mai prima erano stati enucleati in modo altrettanto efficace dal punto di vista visivo. Già Nietzsche, ricordato da Michele Girardi nel programma di sala, scriveva: “Finalmente l'amore, l'amore ritradotto nella natura, l'amore come factum, come fatalità, cinico, innocente, crudele – e appunto in ciò natura!”. Una natura che per Bieito è feroce, animalesca, istintiva e brutale. 
Durante l'ouverture un picchetto militare aspetta l'alzabandiera e un soldato è umiliato, costretto a correre in tondo in mutande e anfibi fino a che non stramazza al suolo e viene trascinato via dai commilitoni. Morales indossa occhiali a specchio e si aggira tra i soldati con frustino e ghiacciolo. I monelli sono mendicanti (extracomunitari) a cui i soldati danno cibo da un pentolone, bambini scalzi e sporchi che tendono le ciotole per pietire qualcosa da mangiare. Le sigaraie, in camice da lavoro, si siedono a terra dondolando le gambe nel golfo mistico e, languidamente, si allungano sulle tavole. Davanti a loro, i gesti dei soldati sono volgari, sessualmente eloquenti. Carmen sta telefonando nella cabina, il camice è slacciato e mostra senza pudore la sottoveste nera di pizzo. Carmen si presta al gioco della seduzione, non ha paure né pudori, né teme la “divisa”: col rossetto scrive sul petto nudo di un soldato “l'amour”, poi si passa un fiore rosso sul corpo (parti intime comprese) e lo scaglia addosso a Don Josè, quindi morde un orecchio del tenente fino a farlo sanguinare. Accetta volentieri i soldi dei militari (in un mondo di confine con una grande caserma è inevitabile la prostituzione). Violenza, si diceva: i soldati distruggono la cabina telefonica, gratuito vandalismo; i soldati appendono un'operaia in reggiseno e mutande al pennone della bandiera. Violenza ma anche seduzione: Carmen è incatenata al pennone, Don Josè le infila le scarpe e lei, con le lunghe gambe nude, lo sfiora, lo accarezza. Carmen sirena, famme fatale irresistibile.

Il secondo atto si apre con una bambina, la figlia di Frasquita, che gioca con una barbie e accenna passi di danza mentre i braccialetti di plastica tintinnano. Entra in scena una Mercedes scassata e ammaccata, si organizza un pic-nic con frigoriferi portatili, sdraie e coperte da stendere a terra. Fondamentale, per rendere l'atmosfera incongrua e quasi onirica, la presenza di un albero di Natale, che la bambina addobba con lucine e bandierine giallo-rosse. Mercédès e Frasquita fanno sesso coi soldati, la presenza di altri e della bambina non è un problema. Escamillo è completamente estraneo al contesto militare e zingaresco: veste un abito grigio dal taglio impeccabile con camicia bianca. Non ci sono concessioni agli stereotipi: gli abiti da flamenco ci sono, ma escono da borsoni di plastica (quelli a scacchi degli extracomunitari) e vengono indossati come maschere di carnevale per una farsa in costume. L'arrivo di Don Josè trova Carmen sola, lunga sul cofano della macchina, che mangia uva. Senza pudicizia Carmen si struscia contro il militare, lo tocca, mima atti sessuali, fino a togliersi le rosse mutande di pizzo prima di sedersi sopra di lui: le mani scure di lei risplendono sulla pelle bianchissima di lui. Nel dirle addio, Don Josè paga Carmen, con questo disprezzandola e ferendola. Il luogotenente può costituire una minaccia, allora Dancaire e Remendado lo ammazzano di botte.

Dunque ancora violenza, interrotta dal momento di estrema poesia dell'incipit del terzo atto: sulle note di arpa e flauto un soldato si spoglia nudo e mima i gesti del torero all'ombra di una grande sagoma del toro di Osborne, una danza rituale dall'atmosfera sospesa e magica, fuori dal tempo e dallo spazio. Il luogo selvaggio del libretto è reso con un carosello di cinque Mercedes scassate e ammaccate, che arrivano coi fari accesi e vengono parcheggiate in circolo: tutti si accampano a terra, nei pressi delle vetture. Frasquita litiga con Mercédès e la trascina per i capelli; Don Josè litiga con Carmen e la prende per i capelli. Micaela manda a quel paese Carmen perchè Don Josè torna a casa con lei. I contrabbandieri smerciano sigarette e scarpe di noti marchi.
All'inizio del quarto atto il toro di Osborne viene abbattuto e fatto a pezzi, Lillas Pastia simula una corrida con le corna della sagoma. Una vaporosa bionda in bikini si stende al sole sopra una bandiera della Spagna e Lillas Pastia le disegna intorno un ampio cerchio bianco, simulando la plaza de toros. Alla sfilata assiste una moltitudine di gente trattenuta a stento da una corda tesa in proscenio, come se la sfilata fosse in platea; invece è solo un gioco di movimenti di masse. Poi il palcoscenico si svuota intorno a Escamillo e Carmen, lei in abito rosa luccicante da sirena e occhiali da sole in testa, ai piedi vertiginosi tacchi a spillo. Don Josè è in platea. Carmen resta sola, si sistema il rossetto e dallo specchietto vede Don Josè che si avvicina da dietro. Carmen sa che non non si può sfuggire al destino: Don Josè la sgozza, Carmen cade al centro del cerchio bianco (è quello il luogo del combattimento, è quello “il” combattimento) e muore fra schizzi di sangue, Don Josè la trascina via come una bambola di pezza, nel buio. Sul palco resta solo il contenuto della sua borsetta rovesciata. E una lama di luce, incapace di tagliare il filo del destino.

Omer Meir  Wellber sceglie tempi veloci che non pregiudicano la cura dei particolari; sottolinea le ruvide scabrosità della partitura in modo da adattarsi perfettamente alla regia ma non trascura la morbidezza dei momenti di respiro lirico. Il giovane e dotatissimo maestro propone una lettura importante, lucida, che allontana i passaggi scontati anche per merito di un'orchestra in stato di grazia che gli consente di calcare sul tragico, aumentando il riverbero delle note gravi.

Béatrice Uria Monzon aveva già interpretato il ruolo del titolo per Bieito al debutto dell'allestimento due anni fa al Liceu di Barcellona e offre un'incredibile partecipazione emotiva; i capelli neri crespi, il fisico prorompente, la voce scura e sensuale: una Carmen irresistibile; colpisce in particolare il fraseggio aspro, primordiale, oserei dire quasi ferinico, evidenziato da una pronuncia cesellata; gli acuti sono perfetti, ogni nota residua un fondo di grave che adatta in modo superbo il ruolo pensato dal regista.  Mi pare che Stefano Secco debutti il ruolo: il tenore convince come Don Josè, impostato principalmente sull'ingenuità del soldatino mandato alla frontiera e sul cambiamento emotivo, reso con grande adesione vocale e attenzione a ogni sfumatura: d'altra parte questo è il solo ruolo che ha un evidente sviluppo nel corso dell'opera e il tenore sa decifrarne ogni angolo (superbo nel lungo “La fleur que tu m'avais jetée” del secondo atto); Secco evidenzia la componente lirica di Don Josè e non teme gli acuti, affrontati con voce piena e salda. Meno impressionante Alexander Vinogradov (che canta saltando dal tetto della macchina senza nessuna incrinatura: bravissimo), voce bella e vellutata ma presenza poco incisiva, priva del necessario carisma. Ekaterina Bakanova è Micaela, ruolo ripensato dal regista: non la solita biondina slavata e noiosa, ma una ragazza benestante e di buona famiglia, i capelli rossi e corti, in piega perfetta, gli abiti costosi e ricercati, la classica rappresentante di un mondo borghese, una donna piena e matura che sa quello che vuole e come ottenerlo (bacia in bocca Don Josè, prende in giro Carmen quando Don Josè accetta di seguirla); il contrasto con Carmen non è solo amore familiare contro amore puro, ma la prospettiva di una vita “ordinata” (una moglie impeccabile, famiglia con bambini belli e sani, la domenica a pranzo dalla mamma) davanti alla scelta della vita di Carmen seguendo un istinto sessuale famelico. Adeguati vocalmente e bravi attorialmente nei ruoli di contorno: Francis Dudziak (Le Dancaire), Rodolphe Briand (Le Remendado), Dario Ciotoli (Moralès), Matteo Ferrara (Zuniga), Sonia Ciani (Frasquita) e Chiara Fracasso (Mercédès). Con loro Cesare Baroni, un Lillas Pastia importante per la resa dell'idea registica, il coro della Fenice ben preparato da Claudio Marino Moretti, i Piccoli Cantori Veneziani ben diretti da Diana D'Alessio e i mimi perfetti.

Pubblico numeroso nonostante la concomitante partita Italia-Germania, applausi non frequenti a scena aperta, calorosi nel finale. Uno spettacolo imperdibile, che rende impresentabili le Carmen tradizionalmente sivigliane con la gonna alzata sulla coscia.

Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)