Eccola liberamente disponibile sul portale OperaStreaming, la Carmen di Bizet che ha inaugurato il 2022- a Parma prima, a Reggio Emilia poi, frutto della coproduzione del Teatro Regio e del Teatro Valli: la recita messa on line è quella del 28 gennaio scorso, data nella seconda sala.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Lo spettacolo ebbe in verità accoglienza contrastata in entrambi i teatri, con dissensi per le scelte drammaturgiche della regista Silvia Poli. Scelte che, scansando ogni minimo riferimento naturalistico o folklorico – della Spagna di Merimée non c'è traccia alcuna - ambientano tutta l'opera nella squallida cella in cui Josè – disertore prima, omicida poi - sta attendendo il patibolo.
Una discesa all'inferno rievocata dalla sua mente confusa e farneticante, in un lungo flash-back avvelenato dall'immagine di Carmen, presenza lacerante ed ossessiva. Idea invero avvincente, sì; ma non certo originale. Da ultimo l'usò Damiano Michieletto, proponendo le deliranti visioni di un Rigoletto, devastato dai rimorsi e dai ricordi, rinchiuso nella stanza di un manicomio. Regia nata alla Dutch National Opera di Amsterdam nel 2017, riproposta alla Fenice di Venezia un anno fa.
Credibilità e intensità drammatica
Ad ogni modo, Silvia Poli lavora con acutezza, e dona allo spettatore uno spettacolo coerente, ricco di preziose annotazioni; e che, superato lo sconcerto iniziale, pagina dopo pagina cresce di credibilità e d'intensità drammatica.
Talune soluzioni visive, discendenti dall'intento dichiarato di condannare le violenze verso le donne - come i palpeggiamenti maschili e le laide perquisizioni (perché?!?) delle sigaraie - magari rasentano il ridicolo, va bene. Però l'arrivo di Micaëla visto come ultima visita al prigioniero, è una genialata. La visione di un ipotetico, fecondo ménage familiare con lei, nel preludio del terzo atto, pure. E l'accorto uso delle coreografie, specie all'apertura del secondo atto, anche.
Nell'univoca scenografia di Andrea Belli (sulla quale calano le fredde, taglienti, magistrali luci di Marcello Lumaca) vediamo una cella spoglia ospitante un misero letto; ma lo spazio si allarga idealmente di volta in volta rivelando un cortile di prigione, l'accampamento dei contrabbandieri, la piazza di Siviglia dove Josè incontra Carmen – prima, sempre in serica sottoveste nera - vestita da candida sposa.
I costumi di Valeria Donata Bettella collocano la vicenda negli anni '40-'50 del secolo passato, consegnando a Micaëla abitini da sciura borghese: a ben vedere, ci sta. Le coreografie sono di Carlo Massari/C&C Company.
Bravi attori, ancor prima che cantanti
Nondimeno una non piccola parte della riuscita di questo spettacolo spetta ai due interpreti principali, sensazionali attori ancor prima che bravi cantanti: la ripresa video, ricca di primi piani, li rivela straordinariamente plausibili ed espressivi in scena. Altrimenti, forse non si sarebbe tenuto altrettanto bene in piedi. Carmen è uno spettro tragico eppure seducente reso benissimo da Martina Belli, mezzosoprano dall'invidiabile silhoutte che le permette suprema aderenza fisica al personaggio. La voce, poi, è vellutata, insinuante, luminosa, omogenea nel timbro e ricca di ombreggiature; il portamento, insinuante e ferino.
Arturo Chacon Cruz rimane in scena dal primo momento sino alla fine con l'incarico di consegnare, mercé un cospicuo impegno fisico, un Josè torturato dalle sue ossessive immagini. Impresa riuscita grazie ad una recitazione convulsa ed efficacissima, sostenuta da un adeguato, ombroso physique du rôle, oltre che da una emissione scura e virile, ben poggiata sul fiato, con acuto chiari e ben timbrati, ed un fraseggio dai piacevoli chiaroscuri.
Escamillo ben cantato, ma poco attendibile
Altrettanto purtroppo non si può dire dell'Escamillo di Marco Caria, che – al di là della bellezza di voce, della indubbia musicalità, della generosità dei fiati, degli eleganti e compatti legati – pare un pingue ragioniere abbigliato in traje de luces per una festa in maschera. Soluzione, ascoltarlo e non guardarlo. Già voce di soprano leggero – Adina, Norina e dintorni – Laura Giordano incocca una nuova freccia al suo arco, e consegna una Micaëla appassionante e ricca di vibrazioni, lontana dai soliti clichés, finemente ricamata ed emotivamente intensa.
Parti minori nel complesso assai adeguate: Frasquita e Mercedes vanno ad Anna Maria Sarra e Chiara Tirotta; Dancairo e Remendado ad Alessio Verna e Saverio Fiore; Morales e Zuniga a Gianni Giuga e Massimiliano Catellani.
Concertazione poco melodrammatica
Sul podio Jordi Bernacer, in buca l'Orchestra “Arturo Toscanini”. La versione di Carmen scelta è quella Guiraud. Con i recitativi accompagnati, però qua e là tagliuzzati. Concertazione di alta professionalità, innegabilmente, ma senza voli di fantasia. C'è finezza generale, c'è grande musicalità – i preludi sono momenti fatati – e massima cura dei dettagli strumentali. Però nell'insieme la sua visione pecca di scarsa teatralità. Passi scansare la retorica, i colori troppo sgargianti; ma, forse nell'intento di adeguarsi alla scabra visione registica, si finisce per sfiorare l'anemia. Il Coro del Teatro Regio di Parma, sussidiato da quello di voci bianche e curato da Martino Faggiani, consegna un'impeccabile performance.
Piccola annotazione: la scritta che Josè appone sul muro della cella, proiettata sullo sfondo (« La femme est un poison. Elle n'offre que deux bons moments: au lit e dans la tombe») e che sta in epigrafe della novella di Merimée, riprende dei versi dell'antico poeta greco Pallada. L'avremmo evitata.