CASHMERE WA

Il teatro dov'è?

Il teatro dov'è?

Chasmere, WA  di Leonardo Staglianò, testo vincitore della Terza Edizione del Premio Diego Fabbri per il Teatro, ci racconta diverse reazioni umane dinanzi la morte prematura di una donna, morta per congelamento delle ossa, in seguito a una caduta accidentale in un lago gelato (siamo in Alaska). Il racconto parte a morte avvenuta e si incentra su Ryan il figlio minore della donna, intento a scavare in alcune vecchie gallerie minerarie per collegarle con la cantina di casa per afferrare le luci dell'Aurora Boreale che la madre gli aveva mostrato quando Ryan aveva 7 anni.

Lo spettacolo si sviluppa su una serie di visite che i familiari fanno al giovane che non esce dalla ex miniera da sei mesi: chi per controllarne le condizione fisiche (Michael,  medico e zio di Ryan, in realtà amico d'infanzia del padre) chi per portargli derrate alimentari (la sorella maggiore Amy) zia Helen, sorella della madre che Ryan confessa a Michael aver scambiato per sua madre, dopo la morte della donna),  Tom un poliziotto venuto a dargli un mandato di comparizione da parte del giudice,  e infine suo padre Mark, odiato da Ryan  per le continue assenze dell'uomo nella sua infanzia.

Ogni visitatore e ogni visitatrice mentre cerca invano di convincere Ryan a lasciare la miniera aggiunge alla storia familiare di Ryan e di sua madre un nuovo tassello, di incontro in incontro permettendo così al pubblico di ricostruire il quadro generale delle relazioni tra i personaggi.

Gli argomenti toccati dalla pièce come l'autodeterminazione femminile, simboleggiata dalle velleità artistiche della madre di Ryan frustrate prima dalla famiglia di origine della donna (velleità che zia Helen riduce a sintomi di una personalità disturbata) e poi dal marito (che arriva a toglierle la macchina per costringerla a rimanere in casa) o il dover essere sociale imposto alle nuove generazioni (Amy che si sposa con un attore di provincia, che si finge poliziotto nel tentativo di stanare Ryan dalla sua miniera) e, ancora, il ludibrio del villaggio che ricade sui familiari del matto o, infine, le enormi difficoltà delle nuove generazioni di elaborare  un cambiamento violento come un lutto, sono raccontati con dinamiche narrative immediatamente riconoscibili e prevedibili tanto che anche il terribile segreto che Ryan nasconde è evidente e chiaro sin dalle prime battute del testo.

Un terribile segreto che il suo autore giudica moralisticamente almeno a guardare il finale del dramma che non riveliamo per ovvie ragioni.

L'ambientazione sotterranea, claustrofobica, letteralmente asfissiante è una bellissima metafora dell'elaborazione del lutto da parte di un giovane figlio che ha assistito alla morte della madre (era da solo con lei quando la donna è  venuta a mancare) mentre tutte le visite rappresentano altrettanti richiami al principio di realtà dettati più da un dover essere sociale che da una vera necessità personale, una
metafora elegante che dà forma a tutto il testo.  Le dinamiche narrative con le quali Staglianò sviluppa il racconto sono codificate nei topoi di certa narrativa americana realista  così come è stata riproposta da certi film statunitensi degli anni 50 che contraddice e mette tra parentesi le potenzialità metaforico-simboliche del testo tutto sbilanciato com'è a sostenere il naturalismo psicologico dei personaggi.

Forse per questo nel sito del centro Diego Fabbri il testo di Staglianò viene chiamato sceneggiatura teatrale con un uso incredibilmente improprio di un sostantivo, sceneggiatura, laddove testo, dramma o copione, solo alcune delle parole teatrali che la lingua italiana ha a disposizione,sarebbero state lessicalmente più pertinenti.

Una narrazione tutta contenuta nel testo e non nel contesto che tradisce la natura radiofonica del dramma che implica una messinscena esornativa cui si allinea la regia di Panici che invece di sottolineare gli aspetti simbolici del testo li soffoca in un eccesso di realismo - con tanto di picconate e gas che proviene dalla roccia simulato con la macchina del fumo - abdicando così quella vocazione antinaturalistica di cui il teatro, anche quello di parola cui Cashmere, Wa è un classico esempio, si è sempre fatto forza, costringendo la messinscena a un allestimento che al di là della suggestiva ricostruzione scenica della miniera non si sviluppa nella regia, cioè in quello scarto tra quanto il testo dice e quanto la messinscena mostra al pubblico tanto che si potrebbe assistere allo spettacolo ad occhi chiusi e capire lo stesso tutto.

Gli e le interpreti sono straordinariamente efficaci nel restituire dinamiche e psicologie dei rispettivi personaggi con un gusto squisitamente naturalistico che pertiene  più al cinema che al teatro, più alla fiction che al dramma, così come la scenografia che ricostruisce l'ambiente della miniera nei minimi dettagli dando allo spettacolo una concretezza che al teatro non è così necessaria come lo è invece al cinema dove la natura fotografica del mezzo porta con sé una impressione di realtà sempre maggiore di quella che il teatro ha a disposizione.

Un testo che fa dunque un uso esornativo nel mezzo teatrale, testo al quale sarebbe stato forse più consono un altro medium.

Visto il 20-10-2013