Lirica
CASSANDRA

Cassandra riscoperta

Cassandra riscoperta

C'è stato sempre una più o meno aperta ostilità da parte dei musicisti 'professionisti' nei confronti dei cosiddetti 'dilettanti'. E ciò anche se questi ultimi, dal punto di vista tecnico e nell'estro creativo, talora non appaiono punto inferiori ai primi. Peggio ancora va se il musicista 'dilettante' dispone magari di larghi mezzi economici: allora scatta pure una malcelata invidia, un sordo livore nei confronti di chi non deve sudare per guadagnarsi il companatico. Senza scomodare un tale Felix Mendelssohn, si rammenti la vicenda più recente di Giacinto Scelsi, geniale e solido artista del quale solo da poco e con fatica si inizia a riconoscere la grandezza.
Emblematico in tal senso è pure il caso di Vittorio Gnecchi (Milano 1876-1954), rampollo di  un'agiata famiglia della borghesia lombarda, il cui padre Francesco era un facoltoso industriale tessile, oltre che massima autorità tra i collezionisti di monete antiche. Va da sé che anche il giovane Vittorio ebbe la possibilità di studiare privatamente con i migliori insegnanti disponibili, tra i quali Michele Saladino, maestro pure di Mascagni e De Sabata. Il suo primo tentativo teatrale - l'operina dalle tinte pastorali "Virtù d'amore" - venne rappresentata nel 1896 in un teatrino appositamente ricavato in un ampio locale di servizio della villa di famiglia in Verderio (Lecco), con grande larghezza di mezzi: alla sua messa in scena provvidero nientemeno che Adolfo Hohenstein e lo scenografo Antonio Rovescalli. Il pubblico poi non comprendeva solo amici e parenti, ma anche molti critici della stampa milanese, appositamente invitati; fu così il persino il Corriere della Sera del 12 ottobre 1896 poté registrare sulle sue pagine il lusinghiero successo della serata.
Visto l'esito positivo di questa prima composizione, gli interessi umanistici del giovane Vittorio portarono quindi ad concepire un lavoro di più ampie proporzioni, basato sulla trilogia "Orestea" di Eschilo; e precisamente su "Agamennone", la tragedia che prende le mosse dal ritorno del condottiero greco dalla lunga guerra di Troia. Ignorando gli avvertimenti della visionaria Cassandra, condotta con sé quale preda di guerra, esso cade ucciso per mano della moglie Clitennestra e del suo amante Egisto; toccherà al figlio Oreste il futuro onere di vendicarlo. Gnecchi scrisse da sé lo scenario della sua "Cassandra", affidandone la verseggiatura a Luigi Illica; e ad onore del vero il libretto che ne sortì pecca proprio nella non eccelsa qualità dei versi che rinviano - più che al liquido fraseggiare neoclassico di un Vincenzo Monti - ad un aulico e greve ellenismo da dannunzianesimo di seconda mano.
La partitura di"Cassandra" fu terminata nel 1903, ma venne rifiutata da Casa Ricordi. Sottoposta nel settembre 1904 a Toscanini, invece fu da questi trovata innovativa ed interessante. Anzi, dopo aver suggerito alcune leggere modifiche, il direttore parmense ne volle l'inserimento nel cartellone della imminente stagione del Teatro Comunale di Bologna, la sala italiana notoriamente più incline alle novità artistiche. Le cose però non andarono in seguito affatto lisce. L'impresario Pozzali, dapprima entusiasta del lavoro, si mostrò in seguito meno poco convinto delle sue possibilità di successo, e le sei recite previste si ridussero infine a due sole. Le prove andarono avanti a fatica, tra le contestazioni di un coro chiamato ad un impegno fuori del comune - sempre di tragedia greca si parla, dove il coro assume un ruolo fondamentale -  mentre la rinuncia del tenore scritturato costrinse Gnecchi padre a pagare di tasca propria il celebre Borgatti ben 6.000 lire d'allora perché cantasse al suo posto. Toscanini poi divenne improvvisamente ostile, tenendo un atteggiamento a dir poco deplorevole; senza fornire troppe speigazioni, non voleva più andare in scena, e chiese persino che Gnecchi stesso ritirasse la partitura preannunziando un fiasco generale. Fu solo per le minacce dei due Gnecchi - padre e figlio - di adire le vie legali nei suoi confronti, se "Cassandra" arrivò finalmente al giudizio del pubblico il 5 dicembre 1905. Malgrado queste infauste premesse, per fortuna in scena gli interpreti erano tutti di prim'ordine - oltre Borgatti, figuravano la Cassandra di Elisa Bruno e la Clitennestra di Salomea Krusceniski - e il lavoro poté mostrare tutto il suo valore, anche se la critica curiosamente si divise tra quanti consideravano Gnecchi un autore di valore ma 'dilettante', riconoscendone comunque il grande talento; e quanti gli rimproveravano un linguaggio troppo difficile ed il carattere troppo drammatico del lavoro, censurando proprio quelli che per noi sono gli aspetti più interessanti: il corrusco linguaggio polifonico ed il raffinato uso di antiche scale elleniche. Al pubblico bolognese "Cassandra" invece piacque senza condizioni; e persino Ricordi ritornò sui suoi passi, decidendosi ad acquistare una partitura che tuttavia non ebbe fortuna negli anni a venire. Quanto a Toscanini, esso confessò in seguito all'autore di aver dubitato che l'opera fosse veramente farina del suo sacco - rieccoci con la storia dei 'dilettanti' - e di essersi offeso per certe chiacchiere circa l'ipotesi che avesse accettato di dirigere solo perché profumatamente prezzolato dalla famiglia Gnecchi. Sta di fatto che in seguito - anche i grandi sono a volte veramente meschini - il direttore parmense non volle più dirigere suoi lavori, e interruppe anzi con lui ogni genere di rapporto.
Non fu l'unico a osteggiare la figura artistica di Vittorio Gnecchi. La colpa di essere un bravo ed originale compositore, formatosi però al di fuori dei canali ufficiali, sembrò divenire presto come un macigno opprimente, determinando in Italia una serpeggiante ostilità verso di lui. Palese fu l'ostracismo generato nei confronti tanto della "Cassandra" che dei successivi suoi lavori; creazioni che per fortuna incontrarono sempre ospitalità e felice accoglienza altrove, in particolare nella vicina e colta Austria. "Cassandra" apparve con grandissimo successo alla Volksoper di Vienna nel 1911, avendo sul podio il grande Mengelberg. Sempre in Austria, precisamente ad Innsbruck, essa ha vissuto nel 1969 la sua prima resurrezione, sia pure solo in forma di concerto e limitatamente al Prologo; verrà infine restituita alle scene nel 1975, nella Grosses Haus di Lubecca. A Salisburgo poi vennero presentati negli anni diversi suoi lavori, come la "Cantata biblica", la "Missa Salisburgensis", il balletto "Atalanta", e l'opera "Judith": ultima affermazione personale, questa, ottenuta poco prima della morte.
Diversa la storia della polemica del presunto plagio di Richard Strauss, che con "Elektra" si trovò ad affrontare, di lì a poco, quanto narrato nella seconda parte della "Orestea" di Eschilo, cioè nelle "Coefore". La sua apparizione diede presto la stura ad roventi diatribe sul presento plagio nei confronti della "Cassandra", con plemiche che non videro però mai coinvolto l'autore, che si tenne volutamente in disparte da ogni discussione. Innegabile tuttavia che Strauss avesse conoscenza del lavoro del collega -  la partitura di "Cassandra" gli era stata da lui donata prima del varo di "Elektra" - ed è logico immaginare che l'abbia scorsa, se non proprio studiata a fondo. Molte in effetti le cose in comune tra i due lavori, oltre l'assunto generale; citandone solo alcune, la scelta di un possente Prologo in apertura, il tema del Fato in Gnecchi che diviene il leit-motiv di Agamennone in Strauss, la triplice invocazione ad Oreste che chiude entrambi i lavori (nella prima per bocca di Cassandra, nella seconda affidata a Chrysotemis). Ma più che di un'imitazione di Strauss nei confronti del compositore italiano, si potrebbe parlare di innegabile comunanza di ispirazione: medesimi intenti drammaturgici di base, medesima fonte letteraria, analogo uso delle fonti musicali antiche. Insomma quella specie di telestesia, quella sorta di trasmissione del pensiero ravvisata da Giovanni Tebaldini in un suo documentato saggio dal titolo appunto "Telepatia musicale", apparso sulla Rivista Musicale Italiana nel 1909; saggio nel quale vengono puntualmente descritte tutte le analogie tra le due opere, senza peraltro voler mai tirare in ballo il termine «plagio». La polemica non servì a salvare "Cassandra" da un ingiustificato abbandono da parte dei teatri, almeno sino agli Sessanta del secolo scorso. Recuperata la partitura manoscritta originale dagli scaffali di Villa Gnecchi a Verderio insieme a tutto l'archivio del compositore, il produttore Nikolaos Velissiotis ne promosse la necessaria revisione critica, che venne presentata in forma di concerto nel 2000 a Montpellier rivelandone l'intatta modernità. E' interessante ricordare che nel novembre del 2007 la Deutsche Oper di Berlino ha voluto mettere in scena contemporaneamente, uno di seguito all'altro, entrambi i lavori in questione, attuando non solamente un'eccezionale operazione drammaturgica (i fatti narrati in "Elektra" sono susseguenti alle premesse di "Cassandra"), ma offrendo altresì la possibilità di poter valutare dal vivo affinità e divergenze musicali.
Mi sono dilungato molto - spero non troppo - sulle note musicologiche; ma l'avvenimento catanese meritava un giusto approfondimento: è questa la prima volta che l'interessantissima opera di Vittorio Gnecchi riviveva sulle scene italiane, dopo un secolo di assenza, e ringraziamo di cuore la direzione artistica del Massimo Bellini per tanto coraggio. Quanto all'esecuzione in sé, entrambi i cast impegnati sono apparsi all'altezza del loro compito, alternandosi in recite non sempre premiate purtroppo dalla giusta presenza di pubblico: noi plaudiamo l'intensa Cassandra di Mariana Pentcheva, la straordinaria Clitennestra di Giovanna Casolla, l'Agamennone (parte impervia e sfiancante) di John Treleaven, il solido Egisto di Carmelo Corrado Caruso. Nei ruoli principali si alternavano con loro Anna Maria Chiuri, Alessandra Rezza, Roman Sadnik e Piero Terranova. Il personaggio del Prologo era affidato al bravo Nicola De Michele. Esemplare per adesione stilistica, asciuttezza e intensa drammaticità la concertazione di Donato Renzetti: grande precisione, suoni fluidi, perfetto climax emotivo. Buone performances dell'orchestra e del coro del Teatro Massimo. Gabriele Rech e Benedikt Borrmann hanno impostato una sobria lettura registica che prevedeva, grazie alle scene di Giuseppe di Iorio, un piano superiore per il coro ed un registro inferiore per i cantanti. Goffi ed antiestetici i costumi di Sandra Meurer.

Visto il
al Massimo Bellini di Catania (CT)