Lirica
CAVALLERIA RUSTICANA E PAGLIACCI

Cavalleria e Pagliacci sulla "Strada"

Cavalleria e Pagliacci sulla "Strada"

Dopo oltre quarant’anni sono tornati a Modena i due capolavori veristi di Mascagni e Leoncavallo. Cavalleria Rusticana e Pagliacci sono andati in scena in un nuovo allestimento della Fondazione Teatro della Città di Livorno “C. Goldoni”, coprodotto dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena, dall’Azienda Teatro del Giglio di Lucca e dalla Fondazione Teatro Verdi di Pisa. Questo nuovo allestimento punta a una rilettura moderna dei due capolavori della Giovine Scuola Italiana verista; senza tradire le ragioni della musica, ne è messa in piena evidenza tutta l’attualità: il filo rosso che caratterizza questa produzione è l’assoluto rilievo protagonistico della figura femminile. Una donna forte, determinata, padrona delle proprie azioni e del proprio destino e per questo emarginata dal conformismo della comunità e della collettività che circondano la Santuzza di Cavalleria; vittima invece del proprio destino e della violenza del maschio la Nedda di Pagliacci, che paga con la vita la sua smania di libertà e di indipendenza. Un tema, l’emarginazione e la violenza a cui è soggetto l’universo femminile, che dagli anni Novanta dell’Ottocento – l’epoca in cui le due opere furono composte ed entrambe ambientate in un’arcaica realtà mediterranea della Sicilia e della Calabria – continua a ripetersi fino ai nostri giorni: lo confermano i riti di violenza, di stupro e crudeltà che tuttora si consumano non solo nel Sud dell'Italia, e che un prologo registrato di Maurizio Costanzo (alquanto noioso, prolisso e inutile) mette in evidenza con disincantata lucidità.

La regia è del livornese Alessio Pizzech, che si è avvalso della collaborazione dello scenografo Michele Ricciarini e della costumista Cristina Aceti. L’idea del maestro Pizzech è risultata poco innovativa sia nell’ambientazione anni Cinquanta, con frequenti richiami al cinema felliniano, ma anche al teatro pirandelliano e al teatro dei Pupi, sia nell’interpretazione della donna (la solitudine a cui è condannata o si autocondanna quando sfida le regole della società).

In Cavalleria la scena si apre su ruderi di mura che delimitano una virtuale casa in cui Santuzza, sempre al centro della scena, su un materasso (a cui fanno riscontro delle non meglio identificate immagini nelle proiezioni sullo sfondo), si strugge e tormenta e di lì guarda passarle accanto il mondo maschile e femminile dal quale è esclusa: le masse corali, infatti, sono evocatrici di feste e matrimoni. Su quel materasso, ora disperata, ora in preda a gelosie o desideri di un più compiuto amore, si abbandona in una inequivocabile mise nera di pizzi e veli, tanto da sembrare una prostituta in attesa dei clienti. Poco delineato l’aspetto sacro di Cavalleria: il Regina coeli e l’inno pasquale passano inosservati, senza alcun risalto.

Molto brava la Santuzza del soprano Raffaella Angeletti, con una voce sicura, dolce, acuti puliti; il buon canto si è abbinato ad una perfetta recitazione. Il Turiddu del tenore Mickael Spadaccini non è sempre stato all’altezza della situazione: la voce è molto potente e imponente, ma cade negli acuti poco sfumati. Voce esperta e ben modulata, con acuti giusti e ottima recitazione per il tenore Anooshah Golesorkhi. Buona riuscita anche per la Mamma Lucia di Kamelia Kader. Discreta la Lola di Ozge Kalelioglu.

Con Pagliacci si cambia ambientazione: cade la quarta parete e il pubblico è chiamato ad interagire col palco. Qui si gioca al teatro fuori e dentro il palcoscenico, con la compagnia viaggiante che entra dal fondo della sala. Biciclette, calzini corti, aria di paese: è l’Italia degli anni Cinquanta, del film La strada, con i cantanti/pagliacci appesi a delle corde che scendono dal soffitto a mimare i movimenti delle marionette. È il coro con i suoi abiti colorati a fare la scena mentre ricompare una figura di donna, muta (l’attrice Elena Croce), che sta da una parte. Difficile capire il suo ruolo, lo si apprende solo dalle note di regia: è la morte che abbiamo accanto, la madre che veglia, il dolore delle donne.

Si è confermata molto valida la Nedda di Raffaella Angeletti e i giudizi per Spadaccini in Canio (il suo Vesti la giubba è stato molto di effetto, anche per la sua ottima recitazione) e Golesorskhi in Tonio. Molto bravo il Silvio di Alessandro Luongo, bella voce e bella presenza scenica; bene anche Giulio Pelligra in Peppe.

Il maestro Jonathan Webb ha diretto l’Orchestra della Toscana con eleganza e senza enfasi. Discreto il Coro della Toscana, diretto dal maestro Marco Bargagna.

Teatro modenese tutto esaurito; il pubblico ha apprezzato molto le musiche e la produzione; applauditissimi la Angeletti e Spadaccini.

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