Dopo l'inaugurazione con il raro primo Bellini di Adelson e Salvini, la stagione lirica di tradizione di Jesi è proseguita con il dittico sicuramente più celebre, Cavalleria rusticana e Pagliacci, proposto in nuovo allestimento della Fondazione Pergolesi Spontini coprodotto con i teatri francesi di Metz e Tolone.
La scena fissa di Benito Leonori rimanda a uno scoglio in mezzo al mare, una terra pietrosa percorsa da riverberi metallici mentre nuvole leggere si muovono sul fondo scena riflesse negli specchi ai due lati del palco. Per evocare gli interni delle case di Santuzza, Mamma Lucia e Lola dal basso salgono tre velatini a simboleggiare muri, stessa cosa per la chiesa con un rosone evocativo. Se la scena funziona benissimo per Cavalleria, la stessa, ammantata di stracci a guisa di discarica, meno aiuta la messa in scena di Pagliacci: i cantanti spesso inciampano e scivolano e il tavolaccio montato a vista per la pantomima pare fuori contesto.
L'azione è spostata in avanti, cosa resa evidente dai costumi di Giovanna Fiorentini: decisamente contemporanei per Pagliacci (con gli operai addetti alla discarica in tute fluorescenti, compreso Silvio), decisamente più azzeccati per Cavalleria Rusticana dove non si riferisce un'epoca precisa ma ci si rifà a un Novecento generico.
La regia di Paul-Émile Fourny non cerca una chiave unica di lettura per entrambe le opere. Per Cavalleria fa ricorso alla tragedia classica; Santuzza è sempre in scena e le sue movenze rimandano alle eroiche greche: le braccia levate al cielo, i capelli neri sciolti, il contatto con la terra. Mamma Lucia rappresenta, in questa contesto, il debole mondo familiare, scialbo e poco rassicurante. Lola è una provocatrice senza ritegno e i due uomini che le girano intorno, Turiddu e Alfio, non possono che sfidarsi a duello. Meno riuscita la messa in scena di Pagliacci in quanto manca una innervatura forte per l'azione e la pantomima, dove i protagonisti hanno le braccia legate da lacci come pupi siciliani (che peraltro producono il fastidioso rumore dei carrelli), non coinvolge.
Daniel Martinez Gil de Tejada dirige entrambe le opere privilegiando un volume forte e un approccio di tipo quasi romantico piuttosto che lo scavo nelle pieghe veriste della partitura: il risultato porta a qualche appiattimento e a qualche semplificazione. A momenti manca il raccordo tra buca e palco ma l'Orchestra Sinfonica Rossini, formazione che è sicuramente cresciuta in questi anni, lo segue fedelmente.
Nella prima opera si è imposta la Santuzza di Norma Fantini per capacità attoriale e vocalità pur essendo al debutto nel ruolo: la voce è imponente ma bene usata e indaga ogni piega della partitura rendendola con grande emozionalità. Giovanna Lanza è una Mamma Lucia di esperienza e la sua interpretazione si gioca su piccoli tocchi di grande sensibilità. Cristina Alunno è una Lola sensuale, voluttuosa e provocatrice. Alin Stoica è giovane e forse ancora acerbo per un ruolo pieno di passione come Turiddu ma comunque non è stato soverchiato dal confronto con le voci femminili: certamente acuti più saldi avrebbero giovato al risultato finale. Fabian Veloz ha voce morbida che non teme le salite in acuto e resta sonora nel grave; il baritono è l'unico del cast in entrambe le opere, a suo agio in entrambi i ruoli, Alfio di Cavalleria e l'impacciato Tonio dei Pagliacci. Qui sicuramente è prevalsa la Nedda di Maria Teresa Leva per la voce cristallina e sicura; con l'esperienza acquisterà quella maggiore caratterizzazione necessaria al ruolo. Ha ben cantato Christian Collia, un Beppe di tutto rispetto. Invece Canio ha messo alle corde Ilya Govzich (e non solo per l'accento problematico), la cui buona presenza scenica non è stata aiutata dalle scelte registiche. Modestas Sedlevicius ha poco caratterizzato Silvio, pur non mancando di slancio giovanile. Impegnato in entrambe le opere, il Coro lirico marchigiano è stato preparato da Carlo Morganti; il Coro dei Pueri Cantores Zamberletti diretto da Gianluca Paolucci si è aggiunto in Pagliacci.