Prosa
CERTI DISCORSI

In una scena algida, le quint…

In una scena algida, le quint…
In una scena algida, le quinte delineate da pannelli di tulle bianco trasparenti, con pochi elementi scenici che, spostati dagli stessi attori, fungono di volta in volta da tavolo, sedie, mobilio, una giovane guarda dritta di proscenio, attraverso un'immaginaria (per noi) finestra, attendendo l'alba. E' Licia, vestita di una abito elegante, bianco. E' presto raggiunta da Marta (ma conosceremo il suo nome solo parecchio tempo dopo l'inizio della pièce) anche lei di bianco vestita, più grande di Licia. Una l'opposto dell'altra. Tanto svagata e femmina Licia, quanto lucida, presente a se stessa e virago Marta. Marta tratta Licia come una collaboratrice-segretaria. Le chiede il caffè, poi un cognac, le fa rispondere al telefono in sua vece (Marta è una scrittrice affermata alle prese con un nuovo libro), fa i capricci, ha da ridire su tutto. Licia è accondiscendente più che servile. Man mano che la giornata si dipana, e le ore trascorrono, capiamo qualcosa di più sul loro rapporto. Si sono conosciute esattamente un anno prima, durante un evento che Licia non vuol ricordare. Marta parla per frasi profonde, quasi per aforismi (Siamo tutti metafore di qualcos’altro…), che ogni tanto sottolinea come elementi interessanti per il suo libro, senza per questo necessariamente capirli. Poi l'arrivo improvviso di suo figlio Luca, 25nne, anch'egli di bianco vestito, rende la situazione definitivamente esplicita. Marta e Licia stanno insieme. Si sono conosciute la sera che Marta visitò il ponte da dove si suicidò suo marito nonché padre di Luca. La perdita dell'uomo ha segnato sensibilmente madre e figlio (nonostante Luca se ne fosse andato via di casa molto prima del suicido dell'uomo) entrambi feriti profondamente, lo capiamo da come cercano di nascondere l'un l'altra a chi dei due manchi di più. Licia era su quel ponte per togliersi la vita per un senso di colpa nei confronti di una madre malata che aveva accudito per dieci anni la quale le aveva tolto talmente tanto che Licia aveva desiderato che morisse... Certi discorsi colpisce prima di tutto per la qualità della scrittura, per la profondità e le implicazioni, etiche, politiche ed estetiche che mette in scena, a partire delle considerazioni di Marta, solo apparentemente cinica e manipolatrice, ma in realtà capace di sopravvivere al più grande dolore proprio in virtù del fatto che non ha limiti di sorta a provare sentimenti. Personaggio solo (l’esilio a cui costringo me stessa, sola per condizione, poi per scelta, per rabbia, probabilmente, per orgoglio, probabilmente, probabilmente per amore) consapevole che la sua solitudine è anche la sua salvezza, Marta è scevra da sovrastrutture (Non ho rinunciato a dio per essere superstiziosa) e capace di autoironia, appena offuscata da una dolorosa eco di sofferenza, infertale dal marito suicida e dal figlio che si prostituisce (contento lui! E' l'unica risposta che posso dare). Licia è invece succube del maschilismo della società, "serva per amore" della madre malata (ecco perchè sono abituata a vedere l'alba) ma vittima anche del sessismo che non le fa sentire sessualmente il proprio corpo tanto da non farle provare nulla né con gli uomini né con le donne. A differenza di Marta che ha una consapevolezza innata anche della responsabilità che implica il solo fatto di vivere (Non parlo mai di di ciò che non conosco, o che conosco a malapena) Licia è troppo intenta a difendersi per poter fare delle scelte davvero autonome e consapevoli. La decisione di andare via con Luca e di prostituirsi come fa lui è dettata più da un cattolico senso di colpa col quale punire un corpo che sente maschilisticamente "frigido", piuttosto che dallo spensierato cinismo, dettato da un irriducibile egoismo, che caratterizzano Luca, il quale, di fronte alla domanda di Licia se sua madre, che nel finale li ha "ingaggiati" come prostituti, voglia fare sesso con loro, risponde con sincero divertimento che "non lo sa". Lo svolgersi della pièce è asimmetrico: la prima parte sviluppa rapporti e personaggi con una grande calma ma, dopo l'abbandono di Licia, tutto avviene in fretta, tutto precipita e il racconto razionale da teatro borghese (lo diciamo come connotazione stilistica senza alcun significato negativo) della prima parte lascia scompostamente il posto a un teatro metalinguistico (per alcuni tratti la commedia cui stiamo assistendo coincide col libro che Marta si appresta a finire), surreale (il ventriloquismo dello spirito di Luca) ma non per questo a-logico o primo di significato. Tutt'altro. La rivoluzione, come la chiama lei, con cui Marta si libera del giovane figlio, nel finale, è atto di emancipazione, presa di distanza da un maschile assente eppure ancora numinoso, ma è anche, al contempo, il segno dell'incapacità della ragione, della consapevolezza, persino del femminile di antonioniana memoria, e cioè della donna che vede l'oltre nelle cose, di incidere un cambiamento nella realtà, in un modo che non sia drastico, estremo e inutile. Se Licia, nel finale, rappresenta il principio di realtà (nonostante sia terrorizzata dall'accaduto è lei a pensare in termini pratici a un lenzuolo per coprire il corpo di Luca), Marta è al contempo l'istanza di potere paternalistico e violento (affine al padre pasoliniano di Affabulazione) e l'ultima evoluzione della intellighenzia borghese che si staglia nello sfacelo del contemporaneo come unica (im)possibilità rivoluzionaria, mentre la gioventù non è mai stata tanto conformista e reazionaria come constata Luca stesso sollecitato dalla madre. Ma c'è dell'altro. Alcuni accenni di Luca a una seduta spiritica cui ha partecipato per cercare il padre, e dove ha invece trovato lo spirito della madre, corroborati dalla convinzione di Marta che non esistono suicidi tentati, fanno pensare che tutti i personaggi siano in realtà morti. Morti perchè metalinguisticamente creazione dell'autore e dunque non reali, puri spiriti, oppure morti nel racconto proprio perchè, come personaggi in carne ed ossa, sono privi di spirito, essendo la loro (la nostra) vita caratterizzata esclusivamente dal sesso come ricorda Licia (è un fatto di sesso il tipo di scuola che scegli, le amicizie di cui ti circondi, se ti piace il rosso o il blu, se preferisci mamma o papà, il cazzo o la fica…) un sesso inerte, inorganico e sempre violento come ricorda Luca quando parla dei suoi clienti. Certi discorsi si presenta come una fotografia lucida e esatta della nostra società e dei suoi rapporti interpersonali dunque, amorosi o familiari che siano, senza mai perdere di vista il gusto per il teatro, dove anzi la scrittura scenica rafforza l'osservazione sul mondo e viceversa. Giovanni Franci, classe 1982, è l'autore totale dello spettacolo, curandone, oltre che la scrittura, anche la regia, persino prima ancora che lo spettacolo inizi; fa infatti distribuire quasi per caso agli spettatori ancora nel foyer, un foglio con la citazione junghiana Ogni estremo fa nascere il sospetto del suo contrario, come quelle che ci sono nei libri (e che, infatti, Marta metterà come esergo nel suo romanzo) con una pulsione al controllo totale dell'opera, giustificato dal fatto che lo scorso anno Certi discorsi, presentato sotto altro nome, gli era stato rubato dall'attrice Manuela Morosini, che lo aveva spacciato per una creazione sua. Giovanni Franci ha le idee chiare su cosa vuole dal teatro, su com'è il mondo in cui vive e lo comunica allo spettatore con una verve inesauribile, scrivendo uno testo densissimo di ragionamenti, di riflessioni, che sa farsi omaggio ora a Pirandello, ora a Fassbinder, passando per Pasolini nella struttura profonda della sua architettura drammaturgica, con una regia altrettanto curata nell'allestimento (la scena al buio e poi in penombra, con le candele, è elegantissima e visivamente ineccepibile, grazie anche alle luci, splendide, di Giuseppe Russo, e impreziosita da una citazione da Gocce d'acqua su pietre roventi di François Ozon). Alessandra Muccioli è perfetta nel ruolo di Marta, così capace di passare dal cinismo di una battuta all'autoironia di una considerazione al dolore sommesso per la propria solitudine, senza soluzione di continuità. A tratti troppo impostata, accademica, invece, è Alessia Innocenti, che alterna momenti di maggiore adesione al personaggio ad altri dove (se perdonate il trito modo di dire) si limita a dire le sue battute ma non ad essere Licia. Marco Quaglia, pur convincente nel personaggio di Luca, è lontano nell'aspetto, nella postura e nel suo modo di recitare dal ragazzino di 25 anni troppo cresciuto che Luca è. Certe ingenuità del suo personaggio dette da Quaglia rischiano di diventare affettatezze e sono le uniche note stonate in un testo dove invece si vola sempre in alto per sincerità e onestà intellettuale. Certi discorsi è uno spettacolo riuscito e convincente prodotto con determinazione e coraggio, da vedere e da sostenere, con una presenza copiosa di spettatori come quella che ha caratterizzato la sera del debutto.
Visto il 02-01-2010
al Dei Comici di Roma (RM)