CHE FINE HA FATTO ''BABY JANE''?

Ma l'omosessualità è un'altra cosa

Ma l'omosessualità è un'altra cosa

L'idea è intrigante, fare delle due sorelle Hudson del celebre film di Robert Aldrich Che fine ha fatto Baby Jane? tratto dall'omonimo romanzo di Henry Farrell, due fratelli. Una storia al maschile, dove i capricci da diva della ex bambina prodigio Jane Hudson divengono i capricci di un uomo costretto da bambino  a indossare i panni femminili di Baby Jane.
Il plot originale vede due sorelle, Jane, ossessionata dal ruolo che la rese celebre da bambina, successo che non ha mai più avuto da adulta e Blanche, che divenne diva da adulta  fino a un incidente (causato da Jane) che la costrinse sulla sedia a rotelle. Ormai vecchie, Jane,  alcolista, è rimasta a fianco della sorella paralitica  camminando sul crinale della follia, nella quale precipita definitivamente quando scopre che Blanche vuole vendere la casa in cui vivono da sempre. Jane segrega Blanche, uccide la domestica Edna che tenta di liberare Blanche. Morente, Blanche confessa a Jane che era stata lei a spezzarsi la schiena nel tentativo di investirla, Jane era troppo ubriaca per guidare,  e che trascinatasi davanti l'automobile lasciò intendere a tutti che fosse stata Jane a investire lei.
Un noir dalle tinte forti che presenta molti elementi di denuncia: la crudeltà dello show biz che, sin da bambina, ti ubriaca di fama e poi ti fa ripiombare nell'anonimato  (miete vittime ancora oggi, basti pensare  a Macaulay Culkin). L'eterno maschilismo di Hollywood (e della società americana) che leggiamo tra le righe quando capiamo che Jane da adulta non ebbe più successo perchè, crescendo, non era più la bambolina di una volta, mentre Blanche è bella ancora oggi sulla sedia a rotelle (nel romanzo almeno). Ancora l'ipocrisia misogina della morale  che interpretò l'autonomia sentimetal-sessuale di Jane come segno di immoralità e non tratto di autoemancipazione (dopo l'incidente venne ritrovata completamente ubriaca in una stanza d'albergo con uno sconosciuto: solo gli uomini possono concedersi avventure sessuali di quel tipo).
La follia di Jane è quella di una ex bambina prodigio che non sa capacitarsi di essere diventata vecchia:  in una scena memorabile, vestita come Bay Jane, con tanto di biacca, gote rosse e labbra a cuoricino, mentre canta la celebre I've Written a Letter to Daddy, Jane si ilude di esser bambina ma basta uno specchio per farla tornare a un presente che la fa urlare per l'orrore.
Nel cambiare i ruoli da femminili a maschili Bolcioni rinuncia dunque a tanto anche se si ripromette di recuperare altrettanto: affrontare   attraverso l’Arte della Scena  temi profondi e anche scomodi all’epoca sacrificati per vari e svariati motivi, quali (...) l’omosessualità e il tema del diverso inteso anche come condizione fisica come Bolcioni dichiara nelle note di regia.
La messinscena è interessante: la scenografia restituisce il senso claustrofobico della vicenda grazie a un palco disseminato di diverse postazioni, ognuna rappresentante un luogo diverso della casa, con una lampada in ogni stazione che viene accesa e spenta maniacalmente da John/Jane. Peccato per le musiche originali di Alexander Cimini che, per quando belle e suggestive, risultano un po' troppo presenti, invasive, cinematografiche (anche se questo potrebbe essere proprio un effetto voluto).
Qualche dubbio lo suscita il personaggio di Edna Stitt, nel film una domestica di umili origini (e ispanoamericana) cui Bolcioni  fa indossare un giro di perle e dei guanti bianchi in un irrisolto incrocio tra amica benestante di Blake e una non meglio identificata lavoratrice che  John licenzia.
A soffrire molto del capovolgimento di sesso è il personaggio di Blanche, che diventa Blake, un malinconico, assente, ritroso  fratello  dedito a leggere e molto meno risoluto della sua controparte femminile.
Nel finale del film Blanche confessa a Jane la verità  con calma e fierezza, non è pentita, non è attanagliata da sensi di colpa. Bolcioni invece fa piangere Blake in una confessione piena di rammarico nella quale prima rinfaccia al fratello le tante umiliazioni che John gli ha inflitto in quanto gay e poi ammette che, forse, avrebbe potuto sostenerlo di più nell'essere quel che era. 
Blake sembra fuori fuoco, come messo tra parentesi, perchè evidentemente il testo è più interessato a John che a lui.
Per quanto magistralmente interpretato da Antonio Sotgia, impareggiabile nel restituire i deliri femminili del suo alter ego en travestì il personaggio di John,  costretto da piccolo a indossare i panni di una donna, fino a diventare omosessuale rimane una forzatura narrativa che non trova alcuna ragione plausibile, finendo solo per scadere nei peggiori cliché.
Una rivalità tra sorelle, tra donne, basata sull'unica carta che la  società permette loro di usare, la bellezza, diventa un problema privato  di accettazione dell'orientamento sessuale di un componente della  famiglia, che viene accettato, quando ormai è troppo tardi, per quello  che è: una travestita, un omosessuale, che tanto, si sa, sono la stessa  cosa.
Dai dialoghi tra Edna e Blake apprendiamo che da piccolo John venne costretto dalla madre a vestire i panni di Baby Jane, sfruttando una tendenza naturale del bambino ma che da adulto John rimase legato a quel personaggio tanto da continuare  a vestirsi da donna, fino a non nascondere più la propria omosessualità. La bambina prodigio distrutta dall'impossibilità di mantenere il successo da adulta si trasforma in un bambino travestito da donna che o è già omosessuale da piccolo o lo diventa proprio a causa di quel travestimento. La malattia mentale di John non è quella di chi non sa accettare il tempo che passa ma è  la stessa che caratterizza  sua la distonia di genere (maschio o femmina?) che Bolcioni confonde malignamente con l'orientamento sessuale (l'omosessualità). 
Quando Jane nel pieno del suo delirio, torna a vestire i panni di Baby  Jane, assolda un pianista per una inesistente rentrée. Nella versione  cinematografica (e nel romanzo) il pianista è un uomo non troppo  giovane, grasso, non bello, che vive ancora con la mamma,  sentimentalmente immaturo, un "bamboccione" ante litteram,  un altro  disadattato alla vita adulta che  fa il paio con Jane, che deve  accettare in Jane la stranezza di una donna anziana che fa le moine come  fosse ancora una bambina.
Nella versione al maschile il pianista è un ragazzo  giovane e avvenente  che non batte ciglio quando John gli si presenta vestito da Baby Jane,  cioè da donna. Così, quando il pianista non viene ricevuto più da Jane  (perchè ha appena ucciso Edna e non può certo farlo entrare in casa)  il  pianista dà a John della vecchia checca alcolizzata, gli dice di  essere uno scherzo della natura, lasciandogli capire che aveva fatto  finta di non accorgersi che Jane fosse un travestito e non una vera  donna solo per i soldi.
Questa rivisitazione di Baby Jane non raggiunge minimamente gli scopi programmatici dichiarati nelle note di regia limitandosi maldestramente a confermare i più triti luoghi comuni sull'omosessualità che è malattia, crudeltà, travestitismo e solitudine in barba ai gay che da quarant'anni di lotte cercano di dimostrare come l'omosessualità sia una normale variante della sessualità umana (come la commissione Mondiale della sanità ha ormai ratificato da tempo) e di come non abbia nulla che fare con la pazzia, o con le crisi di identità di genere sessuale.
Perché, come ha ricordato veementemente Aldo Busi ad Alba Parietti in una recente trasmissione tv,  un omosessuale è virile.
Qualcuno dovrebbe ricordarlo anche a Bolcioni.

Visto il 03-04-2011