Arturo Cirillo dirige una nuova produzione del più famoso testo di Edward Albee. Il regista crea uno spasmodico gioco di violenza tra le due coppie in scena.
Arturo Cirillo dirige una nuova produzione del più famoso testo di Edward Albee, Chi ha paura di Virginia Woolf?. Come dinamica scenica di base su cui costruire l’intero dramma, il regista crea uno spasmodico gioco di violenza tra le due coppie in scena, che finiscono col massacrarsi a vicenda nel tentativo di guarire il proprio rapporto con il partner e con se stessi.
La trasformazione di un salotto da commedia
Un semplice salotto arredato, circondato da tendaggi neri che ne definiscono i confini: questo è lo spazio in cui Arturo Cirillo (regista e interprete) si trova più a suo agio. Se poi si aggiunge che il testo comincia come una commedia, il gioco è fatto: la recitazione di Cirillo e di Milvia Marigliano calza a pennello e la risata è assicurata. Con l’arrivo in scena della seconda coppia, le cose si fanno più complesse con la trasformazione dell’iniziale leggerezza nella violenza della tortura reciproca.
Per rendere complesso il gioco di annientamento il regista fa sì che il ruolo di vittima e carnefice venga ribaltato in continuazione: se in principio sembra che sia Martha, la donna di mezza età, figlia del rettore dell’università dove insegna il marito George, a essere il motore della violenza domestica, si arriva a un ribaltamento totale in chiusura e si capisce così che il più spietato tra i due è George, che quasi necessita di una dose di violenza per poter continuare a sopportare la condizione in cui si è trovato.
Recitazione e linguaggi
Curiosa è la differenza di linguaggi di recitazione che si trova in scena. Milvia Marigliano e Arturo Cirillo usano lo stesso codice, mentre gli attori nei ruoli della giovane coppia (Valentina Picello e Davide Enea Casarin) si sincronizzano tra loro e si collocano su una recitazione meno esteriore e più inquietante per il pubblico. In questo modo si vede realizzato anche uno scontro a livello di linguaggio, oltre che di azione scenica. C’è però da dire che in certi casi la recitazione dei primi due sacrifica significati del testo che sarebbe invece utile esplicitare al pubblico per esprimere in maniera più chiara lo svolgimento del dramma e la violenza insita nei dialoghi.