Genova, teatro della Corte, "Chi ha paura di Virginia Woolf?" di Edward Albee
“PERCHE’ INSISTONO AD ENTRARE ALL’INTERNO, NONOSTANTE ARRIVINO ULULATI DI MOSTRI?”
Un rassicurante approdo. Dopo un naufragio. Con gli oggetti legati alla memoria ed al presente. Oppure pericolose sabbie mobili. Che inghiottono tutto facendolo sparire. Oppure entrambe le cose, a seconda dei momenti e degli stati d’animo… un deserto beckettiano, un cimitero del moderno consumismo, un’isola deserta in cui augurarsi di fare naufragio per ricominciare a vivere…
Le luci ci sono, al neon, stile Broadway, coloratissime, bar, ristoranti, teatri, ma sono oltre la gabbia che chiude il palcoscenico. Unica via di fuga la scala metallica sulle cui ripide e lunghissime rampe bisogna salire rumorosamente e con difficoltà. Sotto, semisprofondati nella sabbia, frigoriferi, mobili (letto poltrone specchiera bar e tanto altro), carcasse d’auto, juke-box, giochi di bambini, libri a cataste, tutto senza finestre perché l’unico spiraglio sono un mucchio di televisori malamente legati insieme che rimandano la stessa immagine (spesso ripresa da Lavia con la steady-cam). Tutto sotto riflettori sgangherati ed inclinati, solo luce artificiale, sotto stretta sorveglianza.
Una scenografia (Carmelo Giammello) geniale ed entusiasmante, abbinata a costumi (Andrea Viotti) e luci (Pietro Sperduti) altrettanto entusiasmanti. Una grandissima prova di attori, tutti (Mariangela Melato, Gabriele Lavia, Agnese Nano, Emiliano Iovine), soprattutto Mariangela Melato. Ma nel testo di Edward Albee Lavia regista vede forse cose che non ci sono, vuole troppo trasformare la triste parabola di una coppia di mezza età assillata dall’angoscia di non avere avuto un figlio, che si recrimina con accanimento tutte le rabbie accumulate, che vede nella coppia giovane appena incontrata la proiezione onirica della loro giovinezza, che si trasforma in apparizioni visionarie dove l’uomo indossa vesti femminili e la donna diventa un doppio del marito, insomma vorrebbe farci vedere qui la metafora del declino dell’impero occidentale, della crisi della famiglia e della società americane e non solo… “questo mondo alla deriva dove la verità, le certezze e i valori sono finiti nel cesso.. (..) per capire quel niente che rimane del nostro essere, pura metafisica”. E così la trama ed il testo oggettivamente non reggono al peso che Lavia gli impone. Rimane però uno spettacolo di una bellezza formale impressionante e una prova d’attori storica. Con un titolo geniale, negli anni ’60 come ancora oggi. Chi non ha paura del lupo cattivo?
Visto a Genova, teatro della Corte, il 17 giugno 2005
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Bellini
di Napoli
(NA)