Si è concluso il mese di omaggi a Ennio Flaiano, in occasione del centenario della nascita, presso il Teatro Due di Roma con Cgi mi ama mi preceda il dittico di atti unici La donna nell'armadio del 1957 e Il caso Papaleo 1960 per la regia di Gabriele Linari. Due pièce (Flaiano le definì due scherzi) attualissime e di straordinaria modernità, messe in scena con amorevole cura ma non senza qualche perplessità.
Ne La donna dell'armadio il regista dà all'incipit un'atmosfera quasi da giallo, con il protagonista che recita il lungo monologo (nel quale dice di voler eliminare le sue foto di gioventù che potrebbero costituire degli indizi) al buio, illuminando la scena solo con una torcia a batteria, di quelle che si mettono sulla fronte. Un inizio interessante che sottolinea la paura persecutoria del protagonista. Quando questa illuminazione viene sostituita con un impiego delle luci più tradizionale, il cambio avviene in sordina, quasi "per caso", senza sfruttare drammaturgicamente il passaggio di luci relegando così quell'esordio "al buio" più al ruolo di escamotage avulso dal resto dell'atto unico, che a momento fondante della messa in scena. L'indagine costruita sul sospetto maniacale per ogni parola del Commissario che interroga il protagonista che rimane impassibile nei confronti dell'omicidio perpetrato dal protagonista nemmeno quando questi confessa (perchè la confessione è impiegata come alibi in difesa dalle sue accuse) nel testo originale scaturisce in tutta la sua assurdità dal registro realistico con cui è raccontata, mentre è sostituito dal regista con una recitazione stonata che cerca di sottolineare l'aspetto metafisico del testo di Flaiano (la ricerca della verità) piuttosto che la sottile ironia che si fa elemento portante di tutta la pièce, ironia che non si è saputo o voluto cogliere. Fuori luogo è l'interpretazione della vecchia governante del protagonista che ha più a che fare col cabaret che col registro ironico (ma realistico) di Flaianao così come la recitazione ingessata del protagonista quasi il regista non si sia fidato del testo (o del pubblico) proponendo una glossa interpretativa nella regia che finisce col sovrapporsi al testo, nascondendolo invece di amplificarne i non detti.
Meglio invece per il secondo atto unico Il caso Papaleo che racconta del risveglio dalla morte di Antonio Papaleo, uno scrittore di mezza età che, grazie al telefono premurosamente messo nella cappella di famiglia dalla moglie (proprio nell'eventualità improbabile di un risveglio), riesce a chiamare casa per farsi venire a prendere. Intanto i ricordi lo invadono (è tornato alla vita dalla morte sognando di Angela un amore adolescenziale) tanto da indurlo a chiamare la ragazza al telefono. Angela non è più una giovane e, anche se gli risponde, è morta e putrefatta. Ne nasce un dialogo tenero tra un vivo e una morta di rara poesia che nella versione di Flaiano si conclude con la moglie del resuscitato che lo viene a prendere, mentre Gabriele Linari fa concludere la pièce prima dell'arrivo della moglie lasciando lo spettatore col dubbio se Papaleo sia davvero resuscitato o sia morto anche lui. Poco male anche perchè i due protagonisti sono molto bravi (soprattutto Veruska Rossi) e restituiscono con la loro recitazione tutta la nostalgia del vivere di cui il testo è intriso.
Qualche nota critica per aver sostituito alcuni dialoghi (quelli della moglie) nel testo originale recitati da una attrice in scena, con una voce registrata... Delude invece l'inserzione tra le notizie che Papaleo legge sul giornale (anch'esso posto accanto alla tomba con del cibo e un thermos di caffè) mentre attende che la moglie lo venga a prendere, di titoli messi dal regista per far sembrare il testo ancora più moderno (fatto in maniera proditoria perchè tra le notizie ci sono anche fatti che risalgono alla data di pubblicazione della commedia inducendo nello spettatore la falsa convinzione che quella modernità scaturisca dal genio di Flaiano quando invece si tratta di una aggiunta apocrifa...).
La doppia messa in scena raggiunge pienamente il suo scopo, quello di far (ri)scoprire al pubblico il genio poliedrico di Flaiano che si è cimentato anche con il teatro raggiungendo dei risultati memorabili.
Visto il
04-02-2010
al
Due
di Roma
(RM)