The Lingering now vuole essere innanzitutto una riflessione politica. Christiane Jatahy, classe 1968, figlia di un Brasile che oggi le appare come l’unica Itaca possibile nel viaggio individuale dell’esistenza, esploratrice instancabile dei quei territori di mezzo che legano realtà e fantasia, attore e personaggio, cinema e teatro, apre ufficialmente la 50. Biennale Teatro di Venezia con la seconda parte del suo personalissimo lavoro sull’Odissea di Omero.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Chi è oggi Odisseo?
E’ questa la domanda da cui è partita la Jatahy per dipanare il racconto dell’eroe greco che da Troia all’isola di Itaca compie quel viaggio che i secoli hanno fissato nell’immaginario collettivo come metafora dell’identità umana. Nel 2018 era stata presentata a Parigi Itaca, prima parte del progetto Our Odyssey, dove aveva trovato espressione il confronto tra l’epica omerica e la realtà dei rifugiati che attraversano oggi il Mediterraneo.
The Lingering Now (O Agora que Demora), presentata al Teatro alla Tese dell’Arsenale di Venezia, è la seconda parte di questo progetto: stavolta il canto del poeta greco si confronta con la storia reale di artisti rifugiati, il materiale documentario girato in Palestina, Libano, Grecia, Sudafrica, Amazzonia esce dal passato, quello della macchina da presa, e si fa teatro, attualizzandosi nella presenza concreta di quegli stessi attori tra il pubblico.
Comincia così un dialogo avvincente e avvolgente, poetico e profondamente musicale tra le immagini che corrono sullo schermo e la sala, che si trasforma ben presto in uno spazio vivo, pulsante, in cui il racconto si dilata nel presente attraverso le voci e i corpi degli attori. E’ cosi che la realtà tracima, come lascia intendere il titolo, che si radica nel presente, pur partendo da un recente passato (il film è del 2019). D’altronde non è forse questa la vera essenza del teatro? Il qui e adesso? Questo ci ha insegnato la tragedia greca.
La fine dei confini
E proprio come in una tragedia greca il pubblico si fa coro, cassa di risonanza: tutto arriva al pubblico e dal pubblico riparte. Gli attori sullo schermo sembrano a volte rivolgersi direttamente alla platea, quasi a cercare un dialogo, aspettare una risposta, e tale effetto viene magistralmente amplificato dal fatto che gli attori in sala vengono, a loro volta, ripresi nei loro interventi, così che la loro immagine e le loro parole appaiono sullo schermo in un continuo gioco di rimandi.
Il racconto del passato ingloba in sé anche quello del presente, quello del presente assume una dimensione mitica penetrando nell’immagine filmica. In questa dissoluzione di confini, anche la separazione tra noi e l’altro si assottiglia e l’utopia si fa possibile.
Cosa raccontano gli attori? La loro vita, quella reale, quella di chi ha dovuto lasciare il proprio paese e trovare riparo in un altro, divenendo a tutti gli effetti un rifugiato, immergendosi in una sorta di limbo dove l’attesa è l’unica cosa che davvero conta. Nel loro racconto si assegnano di volta in volta l’etichetta di uno dei personaggi dell’Odissea: da Odisseo stesso a Telemaco, da Circe a Tiresia.
Frammenti di realtà si mescolano a narrazione poetica. Il racconto non fa distinzioni. Così Yara, attrice siriana oggi in Libano, passa dallo schermo al palcoscenico, descrive i suoi sette mesi di detenzione una volta rientrata in Siria: freddezza e rabbia si alternano a lacrime e domande. Perché tutto questo? Perché non posso tornare a casa mia, alle mie radici? Già, le radici. Christiane Jatahy chiude il cerchio: le sue radici sono nel cuore dell’Amazzonia, in questa novella Itaca che rischia di scomparire.
La vediamo seduta tra uomini che non vogliono rinunciare alla propria identità di indigeni e mentre il grande Rio scorre pacifico e maestoso sullo schermo, il pubblico viene invitato a battere con due dita di una mano il polso dell’altra. La platea, in una sorta di trance, esegue ed è come se milioni di gocce scrosciassero d’improvviso sull’acqua. Dopo aver giocato tra cinema e teatro, Jatahy gioca con la semplicità di un gesto e ancora una volta i confini scompaiono. E il buio inghiotte la scena.