“Ciao” è un sogno di un caldo pomeriggio di metà agosto. Come una sorta di allucinazione, è l’incontro impossibile nel salotto di casa tra Walter Veltroni, interpretato da un ottimo Massimo Ghini, con il padre che ha perso quando aveva soltanto un anno. Un incontro personale per lanciare un messaggio universale: “I se non appartengono alla vita, ma soltanto alla fantasia”.
Viaggio in Italia
La trasposizione a teatro del libro scritto dall’ex segretario del Pd non è stato certo compito semplice per il regista Piero Maccarinelli. Come ricreare una sceneggiatura vivace partendo da un testo che in fondo non ha una trama, ma è un insieme di ricordi? Ecco perché i collegamenti talvolta appaiono macchinosi, spesso nascosti soltanto dalla bravura dei due attori in scena, ma tutto sommato non viziano il risultato finale. Perché il contenuto c’è e ha spessore. Il dialogo tra i due protagonisti diventa spesso soltanto il pretesto per un viaggio nell’Italia di ieri. L’Italia del Gran Torino, di Bartali in maglia gialla, l’Italia di Mike Bongiorno e del suo indimenticabile “Allegria!”. Perché l’Italia, quando c’era lui, era senza dubbio più allegra di oggi. Ed è l’Italia di tutti, non soltanto dei Veltroni, l’Italia di un pubblico che con nostalgia si emoziona a rivivere ricordi che sono anche i suoi.
L’incontro personale, lo scontro generazionale
La storia d’Italia dell’ultimo secolo fa da cornice all’incontro di un Veltroni ultrasessantenne con il padre poco più che trentenne. A dimostrazione che prima o poi, con il proprio padre, bisogna sempre fare i conti. Non averlo mai avuto accanto ha contribuito ad alimentare il suo mito. Ma il politico romano, che se lo coccola e che in “Ciao” mette a nudo senza vergognarsene l’orgoglio di un figlio che in fondo lo ha sempre cercato, su una cosa non transige. “Ma tu eri fascista?”, Glielo chiede, ci gira intorno, poi glielo richiede e insiste fino a che non ottiene una risposta netta e precisa. Vuole saperlo e vuole che tutti lo sappiano. Perché padre e figlio non soltanto sono due persone molto diverse tra loro, ma sono anche il simbolo di due generazioni molto diverse tra loro. Il primo rappresenta la giovane democrazia che sogna dopo gli anni bui, il secondo la stanca e vecchia democrazia disillusa che teme per il futuro. Due generazioni che alla fine si uniscono in un lungo abbraccio. Un abbraccio impossibile, non soltanto tra i due Veltroni, ma anche tra quello che rappresentano.