Lirica
CLEOPATRA

Macerata, teatro Lauro Rossi,…

Macerata, teatro Lauro Rossi,…
Macerata, teatro Lauro Rossi, “Cleopatra” di Lauro Rossi LA RISCOPERTA DI CLEOPATRA Lauro Rossi, compositore maceratese dell’Ottocento a cui è dedicato il teatro comunale della città, rappresenta, insieme ad altri marchigiani (Filippo Marchetti e Nicola Vaccaj ad esempio), il segno di quanto le Marche fossero terra feconda di talenti e di quanto ricco fosse l’Ottocento musicale italiano, oggi sembrerebbe (a torto) ridotto ai soliti noti. E invece è utile ed interessante riscoprire e riproporre gli autori meno noti, anche per dare sostegno e spessore a quelli noti, i quali non sono di certo emersi dal nulla (tra l'altro Lauro Rossi aveva la stima di Giuseppe Verdi che gli commissionò delle cose). Cleopatra è andata in scena al Regio di Torino nel 1876 e non è mai stata rappresentata negli ultimi cento anni. Orbene, in genere se le opere scompaiono dal repertorio un motivo c’è, il poco interesse della partitura. In questo caso è chiaro che Cleopatra non è un capolavoro, ma è altrettanto evidente che denota una grande conoscenza e padronanza della musica del passato e che presenta agganci con Verdi, Gounod ed altri, sebbene il linguaggio sia passatista, privilegiando romanze e cabalette. Cleopatra è un vero e proprio grand-opéra, maestoso nella massa orchestrale e vocale, sottolinea nel saggio in libretto Bernardo Ticci che ne ha curato la edizione critica. Infatti vi si trovano tutte le caratteristiche del grand-opéra, la struttura in quattro atti, la ricchezza dell’orchestra, l’esotismo dell’ambientazione, i balli, le masse impegnate, l’impianto di proporzioni maestose e la contemporanea presenza di momenti intimi. Belle le pagine del secondo atto, la fine del terzo atto e l’inizio del quarto, affidato al lamento di viola e violoncello, poi alleggerito da flauti e clarino. Oppure il momento drammatico dell’avvicinarsi delle spoglie di Antonio, accompagnato da una melodia funebre che introduce, al tempo stesso, la morte di Cleopatra in cui è l’oboe a dare il tema. L’orchestra è enorme (è stato necessario togliere alcune file di poltrone in platea per accoglierla) ed a tratti enorme è il volume sotto la direzione di David Crescenzi, che però ha il merito di avere sostituito il maestro annunciato, ammalatosi a soli tre giorni dalla prima. La scrittura orchestrale rivela ricchezza di timbri ed una notevole conoscenza del contrappunto, anche se i tagli alla partitura, necessari per evitare noiose lungaggini, potevano lasciare la sinfonia iniziale, in cui emerge il talento del compositore. Dimitra Theodossiou è vocalmente una perfetta Cleopatra con caschetto di capelli neri, acuti d’acciaio e controllo della voce nei pianissimi e nelle smorzature. Alessandro Liberatore è un Antonio con qualche difficoltà nel registro alto e nella proiezione della voce che appare ingolata. Paolo Pecchioli è un Ottavio di bella presenza e dalla muscolatura levigata, con i tratti da statua antica e adeguata vocalità. Ottimo il Diomede di Sebastian Catana, voce di bel colore e usata con sapienza, luminoso il registro grave, rotondo il centrale e svettante l’acuto. Tiziana Carraro è una dolente Ottavia. Con loro il Proculejo di William Corrò, la Carmiana di Paola Gardina e lo schiavo di Giacomo Medici. Limitati ma d'effetto gli interventi della ballerina Anbeta Toromani. Il merito dell’operazione va ascritto a Pier Luigi Pizzi, direttore artistico che ha voluto la riscoperta dell’opera, la cui partitura originale è conservata presso il conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. Pizzi, come sempre autore di regia, scene e costumi (con i “soliti collaboratori”, Sergio Rossi alle luci e Gheorghe Iancu alle coreografie) immagina un Egitto senza tempo eppure perfettamente riconoscibile; una scalea nera e bianca occupa il palcoscenico, colonne diverse in differenti posizioni identificano i luoghi che si susseguono negli atti, su uno sfondo prima celeste (il Nilo immaginato) e poi nero. Le luci madreperlacee rimandano all’atmosfera rarefatta e simbolica dei dipinti di Lord Leighton, evitando il kitsch di certe ricostruzioni, nel segno della raffinatezza e dei colori rosso, nero, bianco. L’operazione funziona ancora di più nel bibienesco teatro dedicato al compositore, al di fuori della necessità del “tutto esaurito” dello Sferisterio. Il coro lirico marchigiano, preparato da David Crescenzi, dà vita a una serie di tableux vivants di grande eleganza formale. Particolarmente azzeccate alcune idee, come l’ingresso in scena di Antonio e Cleopatra, avvinghiati, amoreggianti come due adolescenti, persi nel turbine di una passione totale e bruciante, che non ammette altro: “morire è nulla, perderti è difficile” (Umberto Saba). Teatro gremito, vivo successo di pubblico. Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 24 luglio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Lauro Rossi di Macerata (MC)