Lirica
CO2

Nutrire il pianeta o salvarlo?

Nutrire il pianeta o salvarlo?

Alla Scala va in scena in prima assoluta CO2, la nuova opera a tema ecologico di Giorgio Battistelli, uno dei più attivi e versatili compositori italiani contemporanei. Il progetto era stato avviato qualche anno fa ma la scelta di fare debuttare l’opera in concomitanza con l’Expo, con cui tra l’altro condivide alcune tematiche, ha contribuito a dare al debutto una visibilità insolita per il repertorio contemporaneo e, in sede di rappresentazione, ha incontrato pieno favore di critica e pubblico. L’opera è un genere artistico ancora vitale, prossimo al collasso è, invece, secondo librettista e compositore, il nostro pianeta, malato terminale per surriscaldamento ed eccesso di CO2 (da cui il titolo dell’opera). Il tema è radicato nell’attualità e l’opera costituisce una riflessione su cambiamenti climatici derivati da consumi elevati e ci chiama tutti in causa per non essere riusciti a prendere delle posizioni di tutela nei confronti della natura.

L’opera, formata da nove scene precedute da un prologo e un epilogo, segue due piani narrativi distinti: il primo mette in scena un climatologo impegnato in una conferenza  su tematiche ambientali, il secondo illustra, con scene indipendenti e stilisticamente diverse, vari soggetti (Creazione, aeroporto, Kyoto, uragani, Eden, supermercato,Tsunami, Gaia, Apocalisse) che intrattengono però rapporti col plot  principale secondo una logica associativa. Per quanto l’opera non sia lineare e oscilli nel tempo e nello spazio, è marcata da una chiara progressione drammatica che sfocia nell’apocalisse e si percepisce (come del resto avviene nella convenzione operistica) un’evoluzione e una presa di consapevolezza da parte del protagonista. Decisamente sovrabbondante il libretto (in inglese) di Ian Burton  che spesso affievolisce la componente drammatica nell’accumulo testuale, salvo poi trovare giusta capacità di sintesi nel finale  nelle domande che lo scienziato rivolge a sé e soprattutto agli spettatori in sala:
Se questo non è il mio pianeta di chi è?
Se questa non è la mia responsabilità, di chi è?
Se sono io la causa, non sono allora anche la cura?

Dove l’ultima domanda potrebbe cambiare il segno al pessimismo dell’opera.

Robert Carsen, che aveva già collaborato in precedenza con compositore e librettista per il Riccardo III, firma la regia dello spettacolo con la consueta efficacia e cura visiva e l’impostazione registica ha il merito di esaltare e rendere facilmente leggibile la logica associativa dell’opera, risolvendo senza cesure la transizione fra  scene eterogenee. Il soggetto è inevitabilmente didascalico e  la scena (firmata da Paul Steinberg) è dominata da un maxi schermo collegato a un computer dove vengono proiettati (non senza eccessi) i materiali per la conferenza (slides, grafici, dati), mentre nel secondo livello narrativo lo schermo, animato da video e immagini, diventa scenografia e crea mondi diversi con innegabile virtuosismo.
I video (Finn Ross) svolgono un ruolo scenografico importante e assistiamo alla trasformazione di segni grafici (le cifre del degrado del pianeta o le stringhe di programmi di un computer) in un pulviscolo di stelle e nella poesia dell’immagine gli arcangeli possono anche scendere dal cielo a sovrastare scienziati che lavorano sui MAC dalla mela volutamente riconoscibile.

Alcune scene risultano un po’ troppo didascaliche, mentre altre comunicano forte suggestione: come la danza degli uragani, impersonati da danzatori che entrano in scena ad uno ad uno, abbigliati in modo elegante e fantasioso (costumi e copricapi di Petra Reinhardt ) e iniziano a ruotare come dervisci in un vortice ipnotico che si accresce di musica e figure (particolarmente riuscita la  coreografia di Marco Berriel). Incanta la verdissima e lussureggiante giungla dell’Eden: una selva video dalle foglie di smeraldo dove una siepe di erbe alte copre in parte le nudità di Adamo ed Eva, dalla sensualità forte come la loro pelle nera. Il serpente è un Mefisto che gioca a sfilarsi i serpenti di plastica dalla giacca e che porge  a Eva il frutto fatale, mela che funziona da tramite per introdurre la scena successiva delle primizie esotiche al supermercato. Più banale l’episodio all’aeroporto con i passeggeri (climatologo compreso) che imprecano in un crescendo di concitazione in tutte le lingue del mondo per i voli cancellati (troppa CO2), come del resto i delegati che litigano seduti nell’emiciclo di Kyoto senza trovare un accordo sull’ambiente. Ironica la scena del supermercato dove le casalinghe si lanciano con tanto di carrelli all’acquisto di alimenti esotici in un’apoteosi del consumo inutile. Anche le fotografie artistiche di degradati paesaggi industriali del canadese Edward Burtynsky proiettate a tutto campo sullo schermo sono di forte impatto  un intrico di svincoli di autostrade, distese di pneumatici, parcheggi smisurati pieni di macchine come formiche, suoli deturpati da trivelle, liquami e discariche che ben introducono il sole nero dell’Apocalisse finale.

Buona parte del successo di CO2 si deve alla scrittura musicale, comunicativa e godibile, che sfata i pregiudizi nei confronti dell’opera contemporanea, spesso ritenuta dal pubblico della lirica ostica e incomprensibile. L’orchestrazione di Battistelli, soprattutto negli interludi sinfonici che precedono le varie scene (pagine davvero ispirate che sembrano guardare a Britten o Berg) è ricca di atmosfera e l’uso di materiali sonori compositi si presta allo squarcio lirico come all’esplosione drammatica marcata da un uso puntuale delle percussioni. L’opera procede per associazioni e presenta materiali eterogenei che appaiono e scompaiono in un movimento circolare che allude a quello cosmico e lasciano tracce che disegnano nella memoria uditiva dell’ascoltatore un sistema familiare e riconoscibile. Sul piano vocale prevalgono declamato e parlato, ma ci sono anche arie e duetti che si collocano nel solco della tradizione (particolarmente riuscito quello fra Adamo ed Eva) e i cori (a cappella, di voci bianche, sacrali) suonano affascinanti.

Con una direzione chiara e precisa il giovane Cornelius Meister  offre una lettura  coinvolgente della partitura a cui imprime un giusto senso di coesione e continuità narrativa. Ottima per nitore e spessore di suono la prova dell’orchestra come pure del Coro impegnato in una notevole varietà di registri espressivi.

La parte protagonista del metereologo è affidata alla voce baritonale di Anthony Michaels Moore, narratore partecipe di cui si apprezza la dizione scandita ai limiti della pedanteria. Gaia è affidata alla voce brunita e alla forte presenza di Jennifer Johnston, figura complementare al metereologo. Ci è piaciuta la coppia edenica formata dalla Eva suadente di Pumeza Matshikiza e l’Adamo lirico di Sean Panikkar (che dà voce anche al cantante indiano). Il serpente ha la voce controtenorile subdola di David DQ Lee. L’opera prevede numerosi ruoli minori (tutti ben eseguiti) e talvolta un cantante interpreta più personaggi: per ragioni di spazio citiamo solo Orla Boylan, una Mrs. Mason intensa e partecipe nella scena del post tsunami col direttore d’albergo interpretato da Ta’u Pupu’a.

Grande successo e prolungati applausi alla fine da parte di un pubblico soddisfatto e piacevolmente sorpreso.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)