Per allestire un notevole spettacolo alle volte non è necessario costruire sontuose scenografie, avere l’accompagnamento di un corpo da ballo o indossare particolari costumi soprattutto se la scena è riempita da un attore che si dimostra vero mattatore del palcoscenico, come nel caso di Giorgio Tirabassi.
Tirabassi, nel suo “Coatto unico” (scritto da lui insieme a Daniele Costantini, Stefano Santarelli, Loredana Scaramella e Mattia Torre in scena al Teatro Vittoria fino al 16 dicembre) mostra la propria poliedricità, l’abilità nell’interpretare vari personaggi, nell’assumere diverse espressioni, stati d’animo, insomma nel rivelare mille sfaccettature, nel giro di qualche frazione di secondo. Il palco si nutre della presenza dell’attore e dei due musicisti che lo accompagnano Daniele Ercoli al contrabasso e Giovanni Lo Cascio alle percussioni. Alle volte lo stesso Tirabassi suona la chitarra e l’armonica e canta canzoni popolari romane.
La scena è minimal; ci sono solo una lampada che pende dal soffitto e un barile che all’occorrenza diventa uno strumento a percussione.
Lo spettacolo si configura quindi come un susseguirsi di monologhi introspettivi e intimisti, ironici e ilari anche se non mancano momenti di drammaticità. Vediamo rappresentati vari uomini che abitano in zone periferiche di Roma; ci sono i due ladruncoli che non riescono a mettere a segno un colpo, il padre che preferisce che il figlio diventi un caso umano da trasmettere in televisione per cinque minuti di celebrità, l’evasore fiscale, lo spacciatore e il cliente che parlano a suon di rime baciate e rap...
In “Coatto unico” la lingua parlata è il romanesco, d’altronde non poteva essere diversamente. Il dialetto non è simbolo di un mondo di valori positivi né costituisce il codice subalterno all’italiano ma è uno strumento efficace per raffigurare personaggi che vivono situazioni marginali, uomini perdenti destinati all’eterna sconfitta nel gioco della vita.