Prosa
COMPAGNI DI VIAGGIO

Lui, J.J. racconta, mentre ti…

Lui, J.J. racconta, mentre ti…
Lui, J.J. racconta, mentre tiene un diario, le sue avventure, con Bellicapelli, che lo trascina ad Amsterdam per comprare hashish e rivenderlo in Italia, con Dilo del quale presto si innamora e col quale va a vivere. Intanto Bellicapelli conosce Anna ma ancora non disdegna, ogni tanto, di fare l'amore con lui. Su queste coordinate J.J. ci racconta di litigate con Dilo (che lo accusa di bere troppo e di avere paura di essere lasciato) di Bellicapelli che inizia a bucarsi, di fermi di polizia, di viaggi a Parigi e di altri amori (finiti ancora peggio...) mentre Anna, Dilo e Bellicapelli rimangono sempre i punti cardinali della sua vita. Queste alcune delle linee narrative di Compagni di Viaggio, che ha debuttato il 3 marzo, in prima assoluta, al teatro dell'Orologio di Roma, nella sala Orfeo e dove resterà in scena fino al 23. L'autore del testo, nonchè regista e interprete di J.J. è Giangiacomo Ladisa che ci regala una recitazione sofferta, precisa e convincente nell'incarnare questo giovane uomo egocentrico, ma che sa amare (e fare sesso) con rara pervicacia. Accanto a lui Marco Bianchi Merisi (Dilo), Sara Sartini (Anna) e Yurj Buzzi (Bellicapellli). L'intento della commedia, fin troppo evidente, è quello di declamare un manifesto generazionale che ha l'intelligenza di commistionare omoerotismo ed eterosessualità senza schieramenti di campo (Bellicapelli che vive senza contraddizioni la sessualità a 360 gradi), laddove oggi mille etichette vogliono vivisezionare sesso e sentimenti. La promiscuità sessuale e l'uso delle droghe se connotano la storia più o meno negli anni '80 sono temi ancora attualissimi che parlano a ognuno di noi. L'idea di far raccontare al protagonista quel che succede mentre personaggi e situazioni prendono corpo intorno a lui non è affatto didascalica come potrebbe sembrare è anzi una bella intuizione drammaturgica, ma Ladisa è uno scrittore pavido e non osa insistere con questo meccanismo narrativo che non diventa mai pienamente teatro. Ladisa è pavido anche come regista (imbarazzante la scena d'amore à quatre che non sa decidersi se essere pudica o sfrontata e non diventa niente...) e non sa liberare i personaggi tenendoli tutti legati a sè, al personaggio che interpreta, senza nemmeno sfruttare la scenografia di Massimo Randone, semplice ma intelligente, che usa dei tessuti come quinte che, retroilluminati, aprono a nuovi ambienti, a nuove prospettive, ma che Ladisa impiega raramente (come per la già citata scena di "sesso"). Tutto resta accennato più che mostrato, nessuno dei personaggi (oltre a J.J) ha una sua autonomia scenica (tanto meno il personaggio femminile) serve solo al racconto di J.J. che si sostituisce alla scena, al fatto che sul palcoscenico si sta mettendo in scena uno spettacolo, e si crede lui stesso teatro. Per cui alla fine lo spettacolo sembra più un promemoria visivo, un appunto teatrale per uno spettacolo ancora da fare. Perchè le buone intenzioni, la schiettezza dei sentimenti vissuti onestamente, la tenerezza dell'amore e del sesso omo ed eteroerotico, da soli, non bastano a fare teatro, fanno solo rimpiangere lo spettacolo che poteva essere ma che, invece, non c'è.
Roma, teatro dell'Orologio Sala Orfeo dal 5 al 22 Marzo
Visto il